Tra le innovazioni di questo Idomeneo c'è il minaccioso sconquasso di tuoni e fulmini, inventato per il finale dal regista Luc Bondy, segno che la partita col dio non è chiusa, soprattutto ci sono sonorità mozartiane inedite per la Scala, con nette arcate dei violini senza vibrato, rauchi interventi degli ottoni, legni mai nascosti. Harding, per la prima volta sul podio milanese, non è più il ragazaccio sfrontato di qualche tempo fa, ma direttore equilibrato. Eppure una linfa spigliata all'orchestra l'ha infusa, ne ha dissolto il consueto impasto ottocentesco, ha proposto dinamiche e contrasti stupefacenti, con gran cura per i recitativi accompagnati. Ridotto l'organico strumentale, ha sforbiciato anche nella partitura: oltre il balletto finale, il taglio più vistoso riguarda l'Intermezzo dopo il primo atto che ha permesso un'agevole sutura col secondo. A vantaggio del ritmo drammaturgico.
Cast giovane di prima qualità, in costumi contemporanei. La migliore è sembrata Camilla Tilling (Ilia), per voce e presenza scenica, impeccabile nelle tre arie, specie "Zeffiretti lusinghieri", identificati con bella invenzione registica coi biglietti amorosi trasportati dal vento che scrive a Idamante. Quest'ultimo (l'ottima Monica Bocelli, l'unica non esordiente alla Scala) è vestito da yacht-man con tanto di sacco da velista sulle spalle quando sta per partire con Elettra. Nei panni di costei è l'autorevole Emma Bell che, pur talvolta con dizione imprecisa, dà il meglio nel recitativo "Oh smania! Oh furie" e nella successiva aria, la più applaudita, dove trasforma il gorgheggio in un agghiacciante grido di follia. Steve Davislim è un Idomeneo prestante, sempre controllatissimo (ha dalla sua un timbro leggermente scuro, adatto alla parte), e supera con disinvoltura la grande prova di "Fuor del mar". Efficace Francesco Meli come Arbace, con zucchetto turco e occhialini, pur privato dell'aria nel secondo atto si rifà ampiamente nel terzo.
La scena, con a destra un palazzo-bunker dal quale spunta talvolta uno squallido muretto a simboleggiare un interno, è segnata da un elegante fondale dipinto che scorre lentamente alternando senza soluzione cavalloni riccioluti, cieli nordici, placide marine, onde anomale. L'apparizione di Nettuno è risolta con gusto da Bondy, una citazione di pochi secondi del Colosso di Goya, mentre è infelice quella del Mostro: un immenso tappeto insanguinato, che dovrebbe rappresentarne la pelle, con al centro una vescicona palpitante che Idamante punzecchia con una fiocina. Comunque la regia, pur senza troppe idee, funziona, rigorosa nel calibrare le affettuosità dei due giovani innamorati e nel muovere le masse corali. Insomma un buon inizio di stagione, nonostante le profezie dei nostalgici, applausi incondizionati a Harding, ai cantanti, chiari dissensi per Bondy.
PS. Questa nota è stata redatta dopo aver assistito alla prova generale il 3.12 e ascoltato la diretta radiofonica della prima il 7.12.
Interpreti: Idomeneo: Steve Davislim; Idamante: Monica Bacelli; Ilia: Camilla Tilling; Elettra: Emma Bell; Arbace: Francesco Meli; Gran Sacerdote: Robin Leggate; La Voce: Ernesto Panariello
Regia: Luc Bondy; Luci Dominique Bruguière
Scene: Erich Wonder
Costumi: Rudy Sabounghi
Orchestra: Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore: Daniel Harding
Coro: Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Maestro Coro: Bruno Casoni