Waits e Weill, un teatro di canzoni

Più che un concerto-spettacolo, quella che il gruppo belga Ictus Ensemble ha portato ieri sera a Torino per Settembre Musica è un'opera da camera per due voci e piccola orchestra, in cui i songs di Kurt Weill si sposano a quelli di Tom Waits in un gioco di rimandi e contrapposizioni che dà vita a un'idea narrativa, più che drammaturgica.

Recensione
classica
Settembre Musica Torino
08 Settembre 2005
Più che un concerto-spettacolo, quella che il gruppo belga Ictus Ensemble ha portato ieri sera a Torino per Settembre Musica è un'opera da camera per due voci e piccola orchestra, in cui i songs di Kurt Weill (da "Dreigroschenoper", "Happy End", "Aufstieg & Fall der Stadt Mahagonny") si sposano a quelli di Tom Waits (tratti anch'essi da due opere scritte per il teatro, "Frank's Wild Years" e "The Black Rider") in un gioco di rimandi e contrapposizioni organizzato intorno a un'idea narrativa, più che drammaturgica: quasi nel senso in cui sono "teatro raccontato" certi cicli di Lieder di Schubert. Nonostante la distanza che li separa, nel tempo, nello spazio, nei punti di partenza del loro lavoro, Weill e Waits osservati in questa prospettiva finiscono per approdare a uno stesso territorio: l'emotività raggelata dell'uno fa il paio con lo straniato e straniante iper-sentimentalismo dell'altro, la loro umanità una stessa umanità, lunare, dolente e sconvolta dalla rabbia o dal vino (o dall'amore, qualche volta), che medita vendette da pirata e nel frattempo si contenta di sparare al cielo. Gli arrangiamenti creati per l'occasione da tre compositori (Francois Deppe, Jean-Luc Fafchamps e Fabian Fiorini, che sta sul palco anche in veste di funambolico direttore) contribuiscono a uniformare la materia sonora, che si giova della contrapposizione tra la voce di un cantante rock, Kris Dane (spesso distorta e arrochita, più a evocare che a imitare il timbro originale di Waits) e quella del soprano Judith Vindevogel, che libera Weill dai cabarettismi interpretativi che nel tempo si sono sedimentati sulla sua musica. È una rassegna di "human oddities", come recita il testo inizale: la donna scimmmia e il ragazzo cane, il bimbo con tre teste e l'uomo nato senza corpo. Poco importa che le deformità, nello snodarsi delle canzoni, siano tali più per l'anima che per il corpo - tanto che la conclusiva "My Ship", che Weill scrisse in America (su testo di Ira Gershwin) per il suo "Lady in the Dark", suona come un approdo e insieme un rimpianto, un tema di sonata che ritorna infine dopo rapinosi sviluppi, o forse un "Doppelgänger" altrettanto lacerante, e appena un po' più acido.

Interpreti: Ictus Ensemble Dirk Descheemaeker, clarinetto, sassofono; Dirk Noyen, fagotto; Philippe Ranallo, tromba; Michel Massot, tuba; Gerrit Nulens, Michael Weilacher, percussioni; Jean-Luc Plouvier, pianoforte, tastiere; Tom Pauwels, Eric E.T., chitarre; Ludo Mariën, accordeon; Igor Semenoff, violino; Gery Cambier, contrabbasso; Kris Dane, voce per Tom Waits; Judith Vindevogel, voce per Kurt Weill

Orchestra: Ictus Ensemble

Direttore: Fabian Fiorini

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