Una magnifica statua antica di Venere, recuperata segretamente da un ricco ed estroso intenditore d'arte e rianimata per caso dal suo barbiere, s'innamora di quest'ultimo, ma si avvede che la vita di mogliettina-massaia fedele in un sobborgo residenziale di New York non farebbe per lei e riascende all'Olimpo, lasciando agli uomini la sua immagine scolpita. Questa in sintesi la trama di One Touch of Venus, "musical comedy" che Weill musicò nel '43 su testi di Perelman (dialoghi) e Nash (songs) da un racconto di fantasia di Anstey: i nomi dei librettisti non sono da trascurare, perché il primo era anche un "comic writer" dei fratelli Marx, e ciò si apprezza ogni tanto nella tecnica comica del fuoco di fila di micro-battute, e il secondo confeziona i versi con un'ironia che in certe rime (Louvre-Hoover!) tocca il sublime. D'ironia, nel secondo lavoro di Weill per Broadway, ce n'è per tutti: molta per la psicanalisi, e forse anche per se stesso nel pannello iniziale satireggiante l'arte contemporanea. Ma le linee-guida satiriche sono in realtà due, la morale sessuale e l'onnipotenza del denaro: la prima è dominata da Venere, che ribalta il topos dell'iniziativa maschile e si sottrae a uno status non tanto povero, ma piuttosto monotono; la seconda si gioca sull'asse tra il ricco Savory e la sua segretaria Molly, che canta puntualmente la morale salvo poi accettarne i compromessi. Completato l'intreccio da fidanzate e suocere insopportabili e personaggi comicamente mistery, la forma della drammaturgia è tipica di questo genere parlato-cantato-danzato: i songs mettono i personaggi allo specchio e fermano l'azione, che incrocia la musica nei balletti o in un paio di assiemi ben piazzati; la distanza dalla rappresentazione operistica, obiettivo estetico costante di Weill, è sensibile, e anche le coordinate stilistico-musicali sono sul meridiano di Broadway, che il compositore mette a fuoco con la sua eleganza e sapienza anche nell'orchestrare per un organico sommante una band di fiati e il nucleo degli archi. La regia non perde mai il ritmo della pièce: cambi di scena frequenti ed essenziali, a vista ma resi invisibili da luci frontali al pubblico, scene e costumi efficaci; gli interpreti si muovono, recitano - e cantano - benissimo, con una preparazione duttile e insieme specifica per le esigenze del genere, e ben sostenuta dall'ensemble strumentale: l'allestimento applaudito al Ravenna festival è in blocco quello dell'Opera North di Leeds, dove evidentemente musical e opera non sono due forme sorellastre.
Note: Prima rappresentazione italiana
Presentato in collaborazione con Josef Weinberger Limited
per conto della Rodgers & Hammerstein Theatre Library di New York
Regia: Tim Albery
Scene: Antony McDonald
Costumi: Emma Ryott
Coreografo: Will Tuckett
Orchestra: Orchestra di Opera North
Direttore: James Holmes