L'Orfeo del Giardino Armonico con la regia di Philippe Arlaud per la nuova produzione del Grand Théâtre di Ginevra, ha contribuito all'unione di due mondi: quello degli strumenti d'epoca diretti con grande professionalità da Antonini con quello di ambientazione USA anni '60 del regista francese. Risultato: nuovi e vivi spunti di riflessione.
Recensione
classica
Grand Théâtre de Genève Genève (Ginevra)
Claudio Monteverdi
20 Gennaio 2005
Una diagonale si staglia nella sala: nel suo angolo più acuto, davanti al palco, sono disposti gli archi del "Giardino Armonico", a lato e dietro il pubblico. A questa intrigante prospettiva va aggiunto l'ardito taglio spazio-temporale di questo Orfeo, che va oltre effetti trompe-l'œil. Arlaud, curatore ogni aspetto scenico e coreografico, inizia l'opera con una piccola lettrice e il corpo di ballo che prende a calci una testa mozzata - mentre, sullo sfondo, le didascalie dell'opera sfilano come al cinema. Per la prima scena: ottoni squillanti ai lati, protagonisti e coro, pacchetti e pacchettini dai pallidi colori manieristi, ripescano ambienti e stili alla "La gatta sul tetto che scotta", mentre le tavolate rammentano still life barocche. La festa sembra prosciugare lo scandire del tempo e il vissuto dei personaggi: Euridice non ha più consistenza di quanta ne avrebbe sotto forma di eco o di riverberi lucenti fra le nuvole del cielo. Orfeo è costantemente sorpassato dagli eventi che culminano nell'annuncio della morte di Euridice. Il vero supporto dell'opera diventa la musica: che dapprima rivela risvolti brillanti e leggere rifiniture barocche, grazie alle sottolineature ritmiche di Antonimi. Il tutto si capovolge con Orfeo alle soglie dell'inferno: musica dissonante, cupa e grave in un ambiente da Moulin Rouge, dove i personaggi acquistano spessore e drammaticità. Orfeo vince l'inferno ma è vinto dall'amore e verrà trascinato da una scala bianchissima, come bianchissimo sarà lo sfondo della montagna innevata, dove le braccia paterne di Apollo lo consoleranno. Convincente il cast a cominciare dall'incisività di Torres e Bettini; sorprendenti le voci femminili di secondo piano. Il coro ha forse subito questa regia perdendo un po' il suo baricentro. Questa versione offre nuovi e vivi spunti di riflessione: le letture in diagonale non ammettono manicheismi.
Interpreti: Luca Pianca
Regia: Philippe Arlaud
Orchestra: Il Giardino Armonico
Direttore: Giovanni Antonini
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