Alfred uno e trino
Alle prese con Mozart, Schubert e Beethoven, Brendel dedica a ognuno una caratterizzazione forte e a tratti sorprendente.
Recensione
classica
Non appena Alfred Brendel ha attaccato la Fantasia K. 396 di Mozart è stato chiaro che non sarebbe stato il solito Mozart, come è accaduto puntualmente nelle Sonate K. 281 e 282. Acuito dall'acustica particolarmente chiara dell'Aula Magna della "Sapienza", è un incedere secco, dagli arpeggi sgranati e pungenti, veloce, sincopato, a tratti ironico e sferzante. Non sarà forse piaciuto ai "classicisti", ma è bene che qualcuno renda un'immagine di Mozart non tranquillizzante, mentre incombe l'anniversario del 2006 che sembra voler fare del compositore una "statua eccellentissima".
Non sorprende l'ottima prova di Brendel con la musica di Schubert, sorprende invece che nel primo dei "Drei Klavierstücke" abbia saltato una paginata e più di musica, accorciando il pezzo di circa un terzo. Più che un calo di memoria del pianista 73enne, come accaduto in un paio di battute della Sonata K. 281, è sembrata una scelta interpretativa congeniale a un'esecuzione priva di interruzioni, anzi con pause interne più accentuate di quelle tra i "Klavierstücke" stessi, che hanno mostrato una compattezza formale come di rado emerge da brani eseguiti per lo più in modo rapspodico. Con Schubert però Brendel riesce quasi a lasciarsi andare, ed è stato divertente ascoltarlo pronunciare in maniera sempre diversa i numerosi ritorni del refrain iniziale del n. 1.
Il senso della forma domina anche l'esecuzione della Sonata op. 109 di un Beethoven apollineo, nell'Andante con variazioni finale particolarmente rattenuto. Dunque Brendel è riuscito a trovare un tono diverso e peculiare per ognuno dei compositori eseguiti, mostrandoceli come tre protagonisti del grande teatro della musica.
Al pubblico che lo ha accolto molto calorosamente, Brendel ha riservato un bis (Schubert, "Impromputs" n. 3, D. 899).
Interpreti: pianoforte: Alfred Brendel
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