Va in scena allo Châtelet la "versione di Parigi" di "Tannhäuser". Un'occasione rar, ma non del tutto colta. A dispetto della regia "essenziale" di Andreas Homoki, lo spettacolo convince e conquista. Merito del direttore Chung e di un cast rodatissimo in cui brilla almeno una stella: Ludovic Tézier.
Recensione
classica
Théâtre du Châtelet Parigi
Richard Wagner
25 Aprile 2004
Le vicende della recezione di "Tannhäuser" ricordano quelle del "Macbeth" verdiano: un lungo periodo tra una versione e l'altra, un rifacimento per Parigi con l'obbligo (ovvio) della traduzione in francese e dell'aggiunta di balletti, e una successiva circolazione con il ritorno alla lingua d'origine (tedesco in un caso, italiano nell'altro). Ecco allora che il "Tannhäuser", eseguito per la prima volta a Dresda nel 1845 e rifatto per l'Opéra nel 1861, circola di solito nella versione rimaneggiata da Wagner per la ripresa a Vienna nel '75 (in tedesco, manco a dirlo). E della cosiddetta "versione di Parigi" non si ha più sentore. Dunque, sembrava particolarmente attraente la proposta del Théâtre du Châtelet di mettere in scena proprio il "Tannhäuser" del '61. Promessa mantenuta fino in fondo? Non proprio. Innanzi tutto, il balletto è stato tagliato (così come accadde per il "Don Carlos" di qualche anno fa diretto da Pappano) e per la lingua ci si è dovuti rassegnare al tedesco (in questi casi si dà la colpa al pubblico...).
Alla barba degli sfarzi della "mise en scène" dell'Opéra di Parigi nell'Ottocento, il regista Andreas Homoki sceglie toni minimalisti. Tutto si riassume in un'enorme palla rossa e in un cubo bianco. Colori allusivi, ripresi per i costumi delle due eroine antagoniste, Elisabeth e Venus, alias Petra-Maria Schnitzer e Ildiko Komlosi. In scena dal primo al terzo atto, resta pure un pianoforte: simbolo della creatività dell'artista.
Travolgente è soprattutto l'Orchestre Philharmonique de Radio France diretta da un ispiratissimo Myung-Whun Chung. Nel cast ha soprattutto brillato Ludovic Tézier nei panni di Wolfram: timbro, tecnica e fraseggio impeccabili. Assai convincente pure Peter Seiffert alle prese con l'eroe eponimo. Uno spettacolo di grande raffinatezza in un teatro in cui le delusioni sono rare.
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