Frankenstein sascastici e androgini

Un dittico che rilegge in maniera divergente la figura di Frankenstein è andato in scena, con risultati interpretativi e apprezzamento assai buoni, a Barga: al sarcastico e ambiguo concerto scenico di Gruber, è seguito un lavoro conciso ma drammaturgicamente denso di Battistelli, che rilegge la figura come androgina nella chiave della moderna creazione artistica.

Recensione
classica
Festival Opera Barga Barga
HK Gruber
29 Luglio 2003
Il Festival Opera Barga propone un dittico contemporaneo che rilegge, in forme musicali e concettuali diverse, la figura di Frankenstein, fenomenizzazione romantica di un mito-aspirazione umana assai lungo e sfaccettato. Gruber attinge a testi per bambini di H. C. Artmann per costruirci su un "pan-demonio" per chansonnier e orchestra: il riferimento non è solo al mistilinguismo (ritmi pop, musica per film di genere e per cartoni animati, Kindermusik...), comunque tutt'altro che abborracciato, assai ben fuso in un caleidoscopio al quale sovrintendono il nume Stravinskij e Weill, ma anche al dichiarato sottotesto. I mostri-incubi infantili sono un doppio velato dei mostri della politica che la fanno sempre franca, tra i quali fa capolino solo brevemente lo "scienziato folle"; il testo-matrice, d'altronde, risale ad anni di forte coinvolgimento sociale, e lo stesso lavoro di Gruber si è sviluppato nel tempo da una Suite semi-improvvisativa del '71 allo stadio (quello attuale) del 1978, pensato non necessariamente per le scene (dove è approdato solo nell'83) ma ad esse non inadatto. Resta il fatto che la drammaturgia musicale di Gruber, o meglio quella del suo "concerto scenico", risiede in un "teatro strumentale", di kageliana memoria, anche se meno gestuale: a far teatro sono, insomma, anzitutto i timbri denaturati e despecializzati degli strumenti, con gli interpreti del piccolo ensemble chiamati spesso a suonare flauti dolci, strumenti giocattolo, percussioni oggettuali... Ne deriva un anamorfismo che si riflette abilmente anche sul piano della scrittura, impegnativa ritmicamente e nell'assieme. Bravi perciò gli interpreti strumentali a darne una lettura credibile - per quanto non inappuntabile, con Elio delle Storie Tese più che professionale, abilissimo e mai forzato nell'attraversare il sarcasmo della partitura. Realizzazione e movimenti scenici erano minimi, ai limiti dell'assente: un'idea c'era, ed era quella di sfruttare le luci su Elio per proiettarne, sul fondale nudo delle pareti del palcoscenico, la silhouette incofondibile e qui un po' inquietante: evidentemente, sono le ambigue ombre che appaiono dietro gli esageratamente super-cattivi e i "cattivi eroi" delle immagini di Artmann; la realizzazione però rimane attardata rispetto all'idea. Ben altra idea visiva e scenica tirano fuori i curatori di regia e luci per la Frau Frankestein di Battistelli: la musica del compositore italiano, d'altronde, ha una drammaturgia simmetrica e opposta a quella di Gruber, poiché acquista e potenzia il suo senso a partire dall'intuizione teatrale da realizzare. Che qui è quella di un "Prometeo della creazione artistica": la scrittura del Frankenstein da parte di Mary Shelley diventa lo spunto per indagare la relazione dinamica che si instaura da sempre tra creatore e creatura artistica, e le modificazioni che si producono nel primo, destinato a passare da "soggetto biografico" a "soggetto artistico" e a vivere, perciò, attraverso le sue opere. Ciò che, oggi, "modernamente", siamo disposti con prontezza a riconoscere, è dunque l'androginìa con cui si può descrivere tale relazione, per cui la Frau Frankenstein del titolo finisce con l'essere un sìnolo della Shelley e della sua creatura letteraria: vocalmente, il compenetrarsi delle due identità è cristallino a partire da un prologo narrante (la Shelley) sempre più modificato elettronicamente, seguito da una successione di pannelli vocali e interludi strumentali, coi primi a mediare (con l'aiuto di un'elettronica non esornativa) il materismo e lo spezzettamento fonetico-sillabico al lògos-parola. Il tragitto di scoperta di sè, anzi di biunivoco rispecchiamento creatore-creatura, raggiunge il suo acme simbolico nel terzo quadro, per slittare verso una lotta e una morte altrettanto simboliche e rifratte: è l'opera a morire al creautore (rendendosi indipendente e disponibile all'infinita ermeneusi) o il creautore all'opera? La drammaturgia ci lascia intelligentemente sospesi, e la musica affidata all'ensemble entra nella prima con ottimo passo: dall'ambiente vocale del prologo, alle diverse conformazioni di una scrittura bilanciata fra espressionismo (la Frau Frankenstein è dopotutto un "monodramma", alla Schoenberg) e sperimentazione varèsiana, essa crea tensioni e percorsi, anche molto netti e semplici, senza che le sue "quadrature" si risolvano in squadrature di fraseggio ma, appunto, in geometrie di suono assorbite da Varèse; così, anche la rottura delle simmetrie o delle regolarità ritmiche si equilibra alla scrittura generale e, in un certo senso, media ulteriormente - anche sul piano del timbro - l'estrema fluidità della voce (bravissima la camaleontica Anna Scalfi) alle strutture architettoniche della partitura. La regia azzecca benissimo un'idea visiva con la quale far scintillare la drammaturgua musicale: il prologo sfrutta l'unica finestra-cornice visuale aperta nello spazio velato del palco, facendo recitare come in un quadro la Shelley, e poi ribalta il tragitto sul fondo, dal quale parte una passerella: vi si muove l'androgino-Frankenstein, leggendo su spartiti biomorfi la parte della propria creazione-consapevolezza di sé. Sotto, l'orchestra indossa elmetti da cantiere, valorizzando lo spazio nudo del palco in un'atmosfera da nebbiosa "fabbrica dell'artistico". Verso la drammatica conclusione, piombano dall'alto (prima che il protagonista-androgino piombi inversamente in alto) brandelli di manichini: vi si riconosce qualcosa di De Chirico, segno che l'idealismo e il panspiritualismo romantico possono effettivamente intrattenere un dialogo con l'auto-conoscenza surrealista-metafisica e con i complessi "rispecchiamenti" della conoscenza moderna. Assai convincente e curata l'esecuzione del PocketOpera Ensemble diretto da Maurizio Dini Ciacci, con applausi più che convinti alla fine del pubblico accorso in buon numero.

Interpreti: ELIO (Frankenstein), Anna Scalfi (Frau Frankenstein)

Regia: Progetto scenico - Clarisse Maylunas

Orchestra: Ensemble PocketOpera

Direttore: Maurizio Dini Ciacci

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