Faust e Marguerite nel cubo di vetro

Un grandioso nuovo allestimento del grand-opéra di Gounod inaugura con successo la stagione lirica dell'Opera di Roma

Recensione
classica
Teatro dell'Opera Roma
Charles Gounod
24 Gennaio 2003
Non esiste un'edizione critica del "Faust", che ne avrebbe bisogno più di ogni altra opera. È stato dunque giocoforza ricorrere per l'inaugurazione della stagione dell'opera all' unica versione disponibile del capolavoro di Gounod, l'ultima, quella in forma di grand-opéra approntata per l'Opéra di Parigi nel 1869, però con alcuni aggiustamenti: la reintroduzione della romance di Siebel nel terzo atto, l'abolizione della chanson à boire di Faust nel quinto, il taglio di due numeri delle danze della notte di Valpurga, pochi altri tagli minori qua e là. Era comunque un'esecuzione meno rimaneggiata rispetto a quelle correnti. Benissimo. È stata però ancora rimandata a data da destinarsi la conoscenza della prima versione, quella del 1859 in forma di opéra lyrique, più snella e concisa, perché usava il parlato e il melologo al posto del recitativo accompagnato e perché non aveva le danze, ma non solo per questo. È un peccato ma bisogna aver pazienza e capire le difficoltà. Però è il colmo che l'estensore del programma di sala nemmeno accenni all'esistenza di queste due diverse versioni (e tanto meno alle versioni intermedie di Strasburgo e Bruxelles). In quest'esecuzione quasi integrale, che dura oltre quattro ore, compresi i due intervalli, le lunghezze e gli scompensi della versione in forma di grand-opéra diventano ancora più evidenti ma sono compensati dal guadagno di pagine dove raramente viene meno la sapienza della strumentazione, l'accuratezza e la godibilità dell'armonia, l'elegante tornitura delle melodie. Di queste qualità Gianluigi Gelmetti ha dato perfettamente conto, dilatando molto i tempi per delibare fino all'ultima goccia le raffinatezze della scrittura di Gounod. La sua direzione delicata e limpida, senza quello sfumato che passa per tipicamente francese e che è agli antipodi del gusto classicheggiante di Gounod, ha trovato un'ottima risposta nell'orchestra e nel coro (il lavoro di Andrea Giorgi sta dando i suoi frutti). Anche il cast era di prim'ordine. Il Mefistofele di Roberto Scandiuzzi, nonostante una voce velata e non saldissima nei registri estremi, imponeva la sua presenza dominante: era gentiluomo, seduttore, ironico, senza istrionismi da guitto. Giuseppe Filianoti, che ha la voce e l'impostazione ideali per Faust, deve ancora acquisire in pieno lo stile francese e impadronirsi più a fondo del personaggio, ma sono peccati veniali, soprattutto se si considera che è ancora molto giovane e che debuttava nel ruolo. Darina Takova è una Marguerite vocalmente impeccabile: più che la malinconia intrisa di attesa sensuale della canzone del re di Thule e più che la civetteria capricciosa dell'aria dei gioielli (i cui vocalizzi non presentano problemi per una virtuosa come lei) sono i momenti patetici del quinto atto a scaldarla e a trovare una piena realizzazione espressiva. La voce drammatica, il colore scuro, gli accenti marcati, gli acuti sparati di Alberto Gazale non sempre si adattano a Valentin. L'interprete più perfettamente adeguata al suo ruolo è Marina Comparato (Siebel). Bene anche Martha Senn (Marthe) e Filippo Bettoschi (Wagner). La scena consiste in un grande cubo di vetro: può essere interamente vuoto o accogliere lampade e vasi da fiori in stile art nouveau di formato colossale; può essere perfettamente trasparente o riflettere immagini, luci e la sala stessa del teatro; può essere immobile o girare vorticosamente insieme al corpo di ballo al ritmo del grande valzer della kermesse del secondo atto; può essere la teca in cui Marguerite attende come una bambola l'arrivo di Faust o il labirinto in cui i due faticano a ritrovarsi o il locale dark in cui si agitano i figuranti sadomaso della notte di Valpurga. Hugo De Ana è l'artefice di tutta la parte visiva (tranne le coreografie di Leda Lojodice, ben realizzate dal corpo di abllo e dai primi ballerini Laura Comi e Mario Marozzi) ma la soluzione dello scenografo De Ana, spettacolare e allo stesso tempo sobria, immaginifica e allo stesso tempo razionale e fredda, limita il regista De Hana in una gabbia che lascia libera solo una piccola fetta di palcoscenico verso il proscenio. Ma tutto è funzionale alla visione cupa e opprimente di De Ana e al suo rifiuto di quanto è intrattenimento e pompierismo in un'opera che non a caso ebbe enorme successo nella Francia del secondo Impero. Forse un grand-opéra, che presenta una grande varietà di toni e di stili, esigerebbe una corrispondente varietà di scene, cosicché, quando proprio alla fine il cubo si fa da parte e lascia apparire una grande chiesa goticheggiante alla Viollet-le-Duc, ci accorgiamo che la mente e gli occhi avevamo un po' sofferto la mancanza di effetti scenici come questo. Un'edizione comunque di gran classe, che ha presentato un "Faust" musicalmente e concettualmente più coerente. Perfino il pubblico mondano delle inaugurazioni si è scaldato, applaudendo a lungo tutti gli interpreti.

Note: Nuovo allestimento in coproduzione col Teatro Regio di Torino

Interpreti: Filianoti/Nagy, Scandiuzzi/Surjan, Takova/Voulgaridou, Gazale/Rivenq, Comparato/Custer, Senn/Curiel, Bettoschi/Bellanova, Comi, Mariozzi

Regia: Hugo De Ana

Scene: Hugo De Ana

Costumi: Hugo De Ana

Coreografo: Leda Lojodice

Orchestra: Orchestra coro e dorpo di ballo del Teatro dell'Opera

Direttore: Gianluigi Gelmetti

Maestro Coro: Andrea Giorgi

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