Contemporaneo musicale comico: un paradosso di Zenone?...

Sabato l'Opera di Roma ha proposto al Teatro Nazionale un dittico "comico" contemporaneo consistente in un Melologo su testi di Benni da Stranalandia e nell'intermezzo Bach Haus di Michele Dall'Ongaro su libretto di De Vivo. I quattro autori (gli altri sono A. Gentile - A. Sbordoni - F. Sebastiani) si sono confrontati con l'ipotesi di un registro essenzialmente comico per la scrittura musicale contemporanea, e i risultati (per qualità dell'esecuzione e ricezione del pubblico) sembrano esser stati più che buoni.

Recensione
classica
Teatro dell'Opera Roma
Gentile-Sebastiani-Sbordoni
05 Aprile 2003
I clichet odierni ci dicono che il pensiero musicale contemporaneo linguisticamente più forte non è tagliato per il comico: o, appunto, per questioni di linguaggio, o per più profondo statuto estetico e teoretico (un'arte che conosca la realtà, oggi ne percepisce e tematizza tutte le fratture e le problematiche complessità). Eppure, i due lavori programmati dal Teatro dell'Opera, uno dei quali - il Melologo Comico - in prima assoluta (ma risultato della trasformazione di un progetto già realizzato in passato), han provato a dare una forma comica alla scrittura musicale contemporanea, proprio attraverso la paradossalità. Una delle quali, naturalmente, linguistica: tanto più ci si avvicina ad una forma autentica, strutturalmente forte, del linguaggio musicale, tanto più - oggi - il comico sfuggirebbe; e dunque, perché non confrontarsi con elementi, mattoni, codici linguistici "altri", variamente attinti alla tradizione e ad altri repertori, lasciando che essi colmino il divario che separa Achille dalla tartaruga... E' ovvio che ciascun autore ha poi deciso il modo con cui armonizzare le componenti in gioco: Fausto Sebastiani e Ada Gentile hanno imboccato la tendenza all'intarsio dei linguaggi nella forma agile (perché ricalcata sulle agilissime strutture testuali di Benni) del melologo, attraversando momenti di ricerca sul suono che sono loro propri (gli scavi timbrici di Sebastiani che smaterializzano oggetti armonici riconoscibili, le schegge sonore che la Gentile ordisce attorno alla splendida tecnica sassofonistica di Massimo Mazzoni) ad attraversamenti, a volte quasi testuali, di stili e icone sonore arcinote. Sono i sottili, surreali cortocircuiti semantici di Benni che decidono le scelte: inutile descrivere, ad es., cosa accadesse, musicalmente, in corrispondenza del Cantango o del Rockolo (Avis Presley), con i testi che, cercando l'apoteosi del nonsensical, Sebastiani faceva prima leggere, e poi allegramente e follemente cantare nello stile di turno. Sbordoni ha cercato una soluzione più organica, più generativa, all'agire del mistilinguismo: il ritmo della parola, e la voce, indirizzavano le strutture, sia quelle armoniche che usa da tempo, sia quelle polistilistiche, con le quali - intonando improbabilissimi proverbi metereologici - ha disegnato un viaggio-rassegna immaginario lungo la vocalità italiana popolare e non. Nel caso di Bach Haus di Dall'Ongaro, su libretto di De Vivo ricalcante con gusto la forma dell'Intermezzo comico settecentesco (dunque versi, rime e strofe), il paradosso veniva proiettato anche dentro l'intreccio pur esile: un impresario italiano in angustie fa visita a Bach, gli propone di scrivere un'opera seria, ma Bach rifiuta non ritenendosi tagliato... La musica contemporanea forse rifiuta ugualmente il teatro comico (ad un certo punto, il "frastuono" che i figli di Bach fanno suonando un pezzo del padre somiglia ironicamente alla Neue Musik), però da questo rifiuto vien fuori lo spunto per far di questo teatro. E Dall'Ongaro, compositivamente, lo fa benissimo, appellandosi in ogni momento all'intelligenza ludica sua e dell'ascoltatore: le formanti stilistiche sono legate fra loro con maestria, anche lasciandole apparire per quel che sono, e le figure musicali a volte - nonostante la loro connotazione barocca - si sviluppano e proliferano come la modernità ci ha insegnato, e come l'autore può benissimo aver appreso da un suo maestro riconosciuto, Aldo Clementi. Il ludus così rimane leggero, ma non stanca, gioca con i segni ma non ne rimane prigioniero: il paradosso di Zenone non si traduce, insomma, in pura - postmoderna - passività linguistica. La duttile presenza vocale del trio Favete Linguis, che canta amplificato sempre con naturalezza e correttezza, si è amalgamata bene col suono dell'Orchestra guidata da Federico Amendola, ottima anche in Bach Haus. Bravi anche gli interpreti vocali (Grygori Bonfatti, Filippo Bettoschi, Daniela Schillaci) dell'intermezzo, anche perché le loro parti - per quanto in stile - non erano affatto inconsistenti. Qualche delusione dalla regia di Stefanutti per il Melologo: il quadro iniziale era promettente, ma poi ha rinunciato a confrontarsi, seppur a distanza, alle illustrazioni di Cuniberti per il libro di Benni, ripiegando sulla motilità delle coreografie e dei brillanti interpreti. Il pubblico ha sorriso, ha gradito ed ha applaudito: perché succeda, non occorre che Achille raggiunga la tartaruga...

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