C'erano ovviamente tutti. Un parterre di ministri, mezzi busti televisivi, direttori radiofonici e un'orda di giornalisti. Impossibile mancare. Il calendario parigino non è scandito da inaugurazioni di stagioni, in quanto un flusso continuo di produzioni incalza dall'inizio alla fine dell'anno (in estate, al massimo, ci si trasferisce ad Aix-en-Provence). Ma una produzione non è uguale all'altra. A questa "Donna senza ombra" non si poteva mancare. Non fosse altro perché è stato Robert Wilson, per la prima volta alle prese con la quarta opera frutto della collaborazione Strauss/Hofmannsthal, a firmare la regia. In effetti, la snob Parigi che ha certo contribuito a creare il mito di Wilson negli ultimi tempi aveva voltato le spalle al regista newyorkese. Parlare male di lui era diventato improvisamente di moda, forse anche per la complicità di alcune scelte registiche spesso ripetitive. E il primo atto di questa produzione comincia in tono minore. Un'estrema stilizzazione, movimenti controllati degli attori che rinviano ad una gestualità orientale, alcuni effetti di luce. È dal II atto in poi che la regia esplode in un virtuosismo mai gratuito. Il lavoro di Wilson è calcato sulla partitura: non si limita al libretto, ma scava sulla musica di cui segue i benché minimi indizii. Liquidando tante chiacchiere sulla drammaturgia lirica, Wilson mostra con i fatti che è la musica a gestire il tempo: quest'ultimo non è quello fissato dalla parola. La partitura diventa il timone con cui regolare i movimenti degli attori, i cambi di scena, le alterazioni di luce. È sicuramente la luce una delle magie dello spettacolo. Uno dei momenti più alti è la separazione in diagonale dell'atto II (poi ripresa nel III). E che dire del virtuosismo a cui si piegano 9 tra trombonisti e trombettisti? Wilson li colloca, nel finale, su scena dove prima suonano senza partitura e poi completamente al buio. Non a caso è l'orchestra il vero partner di Wilson, veramente all'altezza dello spettacolo. L'Orchestra dell'Opéra National si scopre come un meraviglioso congegno, capace di dare il meglio. Uno strumento duttile nelle mani di un ispiratissimo Ulf Schirmer. Al confronto le voci appaiono appannate. Il cast assicura ovviamente il buon livello che un palcoscenico come Bastille esige, ma non riserva sorprese. Non valica la media la wagneriana Luana DeVol, non incanta l'imperatrice Susan Anthony. E per il francese Jean-Philippe Lafont ancora una prova riuscita in territorio teutonico. Mentre per il personaggio della Nutrice, ci si sdoppia: una malata Jane Henschel assicura la recitazione, ma la voce è quella di Reinhild Runkel. Comunque, si rivela uno spettacolo tutte luci e niente ombre.
Interpreti: Thomas Moser (Der Kaiser); Susan Anthony (Die Kaiserin); Jane Henschel/Reinhild Runkel (Die Amme); Bjarni Thor Kristinsson (Der Gesiterbote); Karen Wierzba (Ein Hüter der Schwelle des Tempels); Elisabeth Laurence (Eine Stimme von Oben); Jean-Philippe Lafont (Barak); Luana DeVol (Seine Frau); Jochen Schmeckenbecher (Der Einäugige); Scott Wilde (Der Einarmige); Doug Jones (Der Buchlige)
Regia: Robert Wilson
Scene: Robert Wilson
Costumi: Moidele Bickel
Orchestra: Orchestra dell'Opéra National de Paris
Direttore: Ulf Schirmer
Coro: Coro dell'Opéra National de Paris
Maestro Coro: Peter Burian