L'essenza di Traviata

Allestimento improntato alla grande essenzialità quello di Sepe, un'essenzialità che. tuttavia, può entrare in contraddzione con quello che trasmette la musica di Verdi,soprattutto nel primo atto. Compagnia di canto di pregio, in particolare, grandi doti ha dimostrato Elena Mosuc. Ottima la direzione di Viotti

Recensione
classica
Gran Teatro La Fenice Venezia
Giuseppe Verdi
15 Dicembre 2002
"La traviata" secondo Sepe si apre con una festa immobile, funebre, presagio della tragedia dell'ultimo atto. Niente stucchi, né arazzi, né velluti, le donne del coro sono costrette in abiti colorati solo da un nero uniforme, niente gioielli scintillanti, unici i divani rossi. Scelta, che si mantiene coerente per tutto lo spettacolo e che si riflette anche nella gestione dei movimenti, sia dei personaggi che delle masse: sono estremamente ridotti, ordinati secondo geometrie scarne. Scelta coraggiosa, quella del regista napoletano, in un'opera che ha, nella sfavillante mondanità dei salotti parigini di metà ottocento (è questa l'ambientazione storica ricreata), una protagonista indiscutibile (almeno per i tre quarti del libretto), descritta in maniera eccellente dai valzer di Verdi. E sono proprio questi valzer, a partire dal celeberrimo del primo atto, a risentire dell'eccessiva sobrietà: la musica, in un certo senso, chiede opulenza, anche di gesti! Come si diceva in apertura, infatti, le soluzioni registiche, sono improntate ad una grande essenzialità, che tuttavia, a volte, può nuocere alla presenza scenica dei personaggi principali, la cui azione, per quanto la musica la possa suggerire, non ha sostegni scenotecnici. L'assenza di porte definite, non favorisce l'articolazione delle entrate, che si risolvono in semplici apparizioni nella luce, forse un po' macchinose, come nella prima parte del secondo atto. L'essenzialità si è mostrata, al contrario, una chiave di lettura perfettamente riuscita nell'ultimo atto, quello della tragedia, appunto. Ma si sarebbe preferita una progressione più calibrata, che dallo sfavillio della festa conducesse alla desolazione della morte. Il successo musicale della serata è dovuto principalmente ad Elena Mosuc una Violetta teatralmente convincente; vocalmente dotata di grandi capacità tecniche, che le hanno permesso di ricreare le sfumature timbriche e dinamiche richieste dalla scrittura verdiana. Grande perizia anche di Giuseppe Filianoti, interprete di un Alfredo che, tuttavia, ha mantenuto le distanze con il pubblico, poco passionale; il cantante, infatti, seppur in possesso di una potenza e sicurezza nell'emissione molto buone, è sembrato piuttosto freddo e attento più alla correttezza dell'esecuzione, che non all'espressività, salvo, poi, sciogliersi nell'ultimo atto. Marcello Viotti ha confermato, questa sera, le sue ottime capacità nell'organizzare una concertazione rigorosa e sensibile, tesa ad approfondire meticolosamente i rapporti tra voci e orchestra, la quale ha risposto prontamente alle richieste di differenzione timbrica, dinamica e agogica. Il teatro al gran completo ha sottolineato la riuscita dello spettacolo con ovazioni.

Note: nuovo allestimento

Interpreti: Violetta Elena Mosuc; Alfredo Germont Giuseppe Filianoti; Giorgio Germont Lado Ataneli

Regia: Giancarlo Sepe

Scene: Carlo De Marino

Costumi: Shizuko Omachi

Orchestra: Orchestra del Teatro La Fenice

Direttore: Marcello Viotti

Coro: Coro del Teatro La Fenice

Maestro Coro: G. Tourniaire

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