Simon Boccanegra, sobrio ma noioso
Recensione
classica
Il Boccanegra è opera estremamente complessa e a tratti anche criptica ma l'allestimento viennese, una ripresa di quello del Festival pasquale di Salisburgo 2000, non ne ha certamente messo in risalto la sua coerenza. La regia è monotona e noiosa, costruita in maniera quasi esclusiva sull'eliminazione dei momenti superflui. A Stein interessa soprattutto mostrare le relazioni tra universo storico della vicenda e conflittualità dei personagi, quest'ultima tipica dello stilema operistico. Per Stein, inoltre, canto e movimento devono integrarsi, o meglio il secondo deve risultare come introduzione e proseguimento del primo. Fatto sta che mimica e gestualità sono state molto sacrificate a discapito della comprensione generale dell'opera, la cui vicenda difficilmente si riesce ad evincere solo da espressività canora e dal testo. Il tutto risulta statico, cosicché quando succede qualche cosa di più le entrate del coro e le scene di massa per esempio tutto assume una dimensione caricaturale. Anche le scenografie, in questo senso, non aiutano molto e spesso ci sono sembrate contrastare con gli intenti di regia. Da una parte si sono proposte scene con intento simbolico: luoghi e oggetti stilizzati; forme geometriche illuminate; sipari che si restringono creando rettangoli illuminati in cui si muove l'azione (quasi delle piccole scene nella scena); anche i costumi non d'epoca in alcuni casi, storici in altri sembrano più che altro alludere ad un canone minimalista che però non è sufficiente a dare risposte esaurienti circa le possibilità di allestire oggi opere del passato. Inoltre, se si vuole stilizzare per trasporre il tutto in una dimensione storica astratta, come spiegare il fondale utilizzato alla fine del primo atto, una riproduzione realistica di un palazzo trecentesco, che a dire il vero sembrava una quinta in stile cattivo-Hollywood? Perché al termine dell'opera, poi, la bara di Simon Boccanegra si alza dal suolo e vola? Al suo esordio nella buca dell'opera viennese, Gatti ha guidato l'orchestra in maniera magistrale, tirandone fuori sonorità e impasti timbrici di struggente bellezza e riuscendo a evidenziare come nel caso di questa partitura si tratti di un perscorso operistico, musicale e strumentale nuovo. Chiare le linee melodiche; sfumati i tratti; morbido e delicato il suono ma spesso a questo universo sofisticato si sono volute contrapporre chiuse cadenzali troppo marcate che decisamente stonavano con la condotta musicale generale. Il cast dei cantanti, nonostante i problemi di regia, ha dato un'ottima prova. Hampson incarna alla perfezione il dualismo tra individuo ed entità storico-politica rappresentato dal suo personaggio e esprime il momento di sobrietà propagato dalla regia di Stein, tutta incentrata attorno alla caratterizzazione dei personaggi, e con estrema naturalezza espone contemporaneamente il dilemma personale (il rapporto tra padre e figlia) nonché quello politico (il doge che deve muoversi con disinvoltura tra tutti gli intrighi di cui la politica del tempo e per traslato attuale è farcita). Hampson ha quella maestosità e quell'autorità scenica definite da Verdi come necessarie alla resa del personaggio in una lettrera a Ricordi. Buona anche la prestazione degli altri cantanti, soprattutto nelle scene di gruppo, vero esempio di riuscita armonia vocale. Ottima la rotondità timbrica e l'intensità espressiva nel duetto tra Amelia (la Gallardo-Domas pacata, incanta con la sua semplicità) e Adorno (Dvorsk_ canta in maniera lineare e nitida sebbene non sempre la dizione sia comprensibile) nel primo atto o nel terzetto alla fine del secondo atto, dove Fiesco (Furlanetto) sorprende con compattezza timbrica e stabilità vocale anche nei registri più bassi. Riassumendo: l'allestimento, decisamente tradizionale, è noioso, ma la bellezza della partitura, la ricchezza nei toni esecutivi dell'orchestra e la resa degli interpreti ce lo fanno dimenticare, se si chiudono gli occhi e non si guarda sulla scena.
Note: Ripresa dell'allestimento del Festival di Pasqua di Salisburgo 2000
Interpreti: Thomas Hampson, Ferruccio Furlanetto, Boaz Daniel, Dan Paul Dumitrescu, Cristina Gallardo-Domas, Miroslav Dvorsk_, John Nuzzo, Songmi Yang
Regia: Peter Stein
Scene: Stefan Mayer
Costumi: Moidele Bickel
Orchestra: Orchester der Wiener Staatsoper
Direttore: Daniele Gatti
Coro: Chor der Wiener Staatsoper
Maestro Coro: Ernst Dunshirn
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