L'opera come varietà televisivo

La nuovissima opera di Rendine segna l'ingresso da trionfatrice della televisione anche nei teatri d'opera

Recensione
classica
Teatro dell'Opera Roma
Sergio Rendine
21 Novembre 2002
In anni e anni di post-moderno e neo-romanticismo, al vostro cronista (così dicevano di se stessi i giornalisti d'un tempo, quelli veri, di cui s'è perso lo stampo) non era mai capitato di sentire, né in teatro né in concerto, un così completo rifiuto di tutto quello che le avanguardie avevano fatto da un secolo in qua: in "Romanza" non c'è traccia non solo di Schoenberg o di Stockhausen o di Nono ma neanche di Debussy o di Shostakovich o di Penderecki o di chi volete voi. In questo, "Romanza" è radicale. Segio Rendine, che indubbiamente conosce i compositori sunnominati, fa finta di avere della musica la stessa conoscenza del tipico italiano di mezz'età che abbia passato la vita con l'occhio alla televisione e/o l'orecchio alla radio (ma non la vecchia RadioTre, naturalmente). Bisogna riconoscere al nostro autore un'idea che sfiora la genialità. Infatti ha capito meglio di tutti che per un compositore che può contare - se gli va bene - sulle poche migliaia di spettatori d'un teatro d'opera non avrebbe senso opporsi allo strapotere della televisione e ha scritto un'opera usando il linguaggio musicale e teatrale d'un varietà televisivo. Però questa è indubbiamente un'opera non un varietà. Innanzitutto viene raccontata una storia un po' bizzarra ma piuttosto melodrammatica: poi ve la riassumerò, per ora basti dire che è ambientata a Roma in un periodo perfettamente delimitato, il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I, dal 26 agosto al 28 settembre 1978. Perché? Probabilmente la vera spiegazione è che quello era il momento della giovinezza di Rendine, che può in tal modo tornare alla musica dei suoi ricordi, non quella morta e inutile che gli insegnavano in conservatorio ma quella che lui e gli altri cinquanta milioni d'italiani potevano ascoltare nei varietà televisivi del sabato sera, che - lo riconosciamo senza esitazioni - erano dei capolavori a confronto con quello che passa il convento oggi. Dunque spazio a una cantante afro-americana, Ami Stewart, che ebbe un discreto e meritato successo nell'Italia di quegli anni: è lei la protagonista, Maria, la cameriera d'un osteria, ma non è questo che conta, tanto i personaggi non hanno molta consistenza. Quel che conta è che canta, ancora bene, qualche canzone nello stile americano-internazionale che da Broadway aveva fatto il giro del mondo, con ottimi arrangiamenti alla Gorni Kramer. Qualche problema nasce quando la sua voce naturale, ovviamente microfonata, duetta con la voce impostata d'un contralto, Cinzia De Mola, ma questo squilibrio fonico è una quisquilia, infatti tra gli ascoltatori pochi se ne accorgono: l'autore è in vantaggio sul critico uno a zero, ma non è che l'inizio, andando avanti, il punteggio s'aggraverà a tutto sfavore del critico. Manca solo un presentatore come Corrado, ma i numeri sono quelli di un varietà televisivo: gli ospiti sono un tenorino alla Claudio Villa (il protagonista maschile, cioè l'angelo Aniel, alias Vittorio Grigolo, che ha bella presenza, voce accattivante, poca tecnica: beato lui, ha tutte le carte in regola per diventare un secondo Savina), uno stornellatore romanesco (qui però il critico deve essere inflessibile: questo è un anacronismo nel 1978), un cantautore alla Tenco, ecc. ecc. Tra un ospite e l'altro, per distrarre un po' il pubblico, cosa di meglio d'un balletto? Ci sono un balletto dei netturbini e uno dei borgatari, che ricordano quello che i neri d'America improvvisavano con accompagnamento di percussioni ricavate da bidoni di latta (non saremo così pignoli da dire che queste cose si vedevano nelle strade di Harlem e del Bronx non in quelle di Roma). Non è male nemmeno il balletto su ritmi sudamericani. Ci sono anche situazioni e citazioni prese dalla musica colta, ma le più riconoscibili e prevedibili. Alla morte della protagonista fa capolino il Requiem di Mozart ma il riferimento è soprattutto Puccini, appena alluso o citato liberamente: soprattutto molta Tosca, perché in fin dei conti, sono entrambe ambientate a Roma, sia l'opera di Puccini che quella di Rendine. "Romanza" infatti ha come sottotitolo "favola romana" ed è effettivamente una favola ambientata a Roma. Poiché è una storia incredibile, il vostro cronista ha paura di non aver capito bene e riproduce il riassunto apparso su un grande quotidiano romano. "È una storia di angeli che si ispira in parte alla Genesi e in parte a "Il cielo sopra Berlino" di Wenders. Qui Aniel viene mandato sulla terra per star vicino al papa Luciani, che morirà trentatre giorni dopo l'elezione. Ma Ariel s'innamora di Maria, cameriera semplice e pura, e perde l'immortalità. Purtroppo Maria muore per un attentato e anche Ariel, ferito, morirà, ma aiutato da un altro angelo che per amore dell'amico rinuncia all'immortalità". In pratica, nonostante l'intrusione angelica, anch'essa molto televisiva, è un repertorio di situazioni tipiche di quegli anni: i giovani borgatari violenti, i vecchi romani de' Roma saggi e cordiali, i drogati, i contestatori, il politico democristiano, l'attentato, ecc. Di eccellente livello il numeroso cast e la prestazione dell'orchestra e del coro, benissimo diretti da Will Humburg. Molto stilizzato lo spettacolo di Franco Ripa di Meana e dei suoi collaboratori: forse anche troppo intelligente, raffinato e elegante, come se si vergognassero un po' a mettere in scena un varietà televisivo o una commedia musicale. Alla fine il vostro cronista è perplesso ma Rendine vince su tutta la linea e il pubblico applaude, non molto fragorosamente ma a lungo. E all'uscita anche persone stimabilissime si dicevano convinte e soddisfatte, così il cronista china la testa e capisce di doversi adeguare, l'auditel non mente.

Note: prima esecuzione assoluta

Interpreti: Grigolo/Roberts, Patton, Stewart/Ruocco, De Mola, Di Pasquale, Consolini, Musinu, Citarella, Valenti, Leoni, Favete Linguis, Trippitelli

Regia: Franco Ripa di Meana

Scene: Gideon Davey

Costumi: Silvia Aymonino

Coreografo: Mark Baldwin

Orchestra: Orchestra del Teatro dell'Opera

Direttore: Will Humburg

Coro: Coro del Teatro dell'Opera

Maestro Coro: Andrea Giorgi

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