L'Elisir d'amore ai tempi del Tolkien

Perplessità sull'allestimento scenografico, ma sostanziale apprezzamento del cast vocale e dell'orchestra del Teatro Verdi di Trieste, in un Elisir donizettiano guidato con maestria dalla bacchetta di Bruno Aprea.

Recensione
classica
Teatro Lirico Giuseppe Verdi Trieste
Gaetano Donizetti
16 Novembre 2002
Un'ambientazione decisamente più consona al set de "Il signore degli anelli" che a un pur innovativo "Elisir d'amore", con scene verosimilmente influenzate dalla lettura del ciclo di Tolkien o dei romanzi su Harry Potter e che poi sono addirittura scivolate verso più miti reminescenze disneyane. Il pubblico triestino, che ieri sera ha affollato il Teatro Verdi di Trieste per assistere alla prima dell'opera buffa di Gaetano Donizetti, ha accolto con sostanziale favore l'allestimento scenografico e la regia di Ivan Stefanutti, premiando forse la globale riuscita della rappresentazione ma anche dimostrando una propensione ad accettare con eccessiva tolleranza qualunque proposta purchè legata a pagine del repertorio operistico conosciute e, in quanto tali, appaganti. Il rischio, tuttavia, è che in questo modo venga a mancare il momento del confronto critico tra lo stesso pubblico e chi è chiamato a operare le scelte artistiche del Teatro, confronto sul quale non possono non basarsi sia le future scelte artistiche sia le riproposizioni dei medesimi allestimenti presso altri teatri. Mettere in scena un titolo celebre come l'Elisir tentando di darne nuove letture e di immaginare nuove ambientazioni è intenzione di per sé rispettabile, che però diventa meritevole solo nel momento in cui la novità sia all'altezza della situazione e non semplicemente mutuata da contesti oggi di moda. Bello l'ampio gioco di luci e di colori, ma vestire i contadini da gnomi, far trainare il carro ambulante di Dulcamara da un improbabile bruco e, ciliegina sulla torta, mettere un enorme cerbiatto (era Bambi in persona) accanto a Nemorino mentre canta "una furtiva lacrima", si rivelano soluzioni più adatte a uno spettacolo per ragazzi che a un'opera buffa. Tanto più che al suo debutto milanese del 1832 l'Elisir segnò un momento importante nella storia di questo genere, staccandosi dai precedenti modelli rossiniani e lasciando che alla comicità si affiancassero anche quei sentimenti di commozione che larga importanza ebbero nella successiva produzione del musicista bergamasco. Significativamente positivo è invece il commento sulla parte musicale dello spettacolo. In primo luogo il pieno successo di Bruno Aprea, che ha diretto un'orchestra di proporzioni ragionevolmente ridotte, guidandola con slancio e padronanza attraverso una partitura di estrema trasparenza, che non tollera esitazioni nè sbavature. La stessa orchestra - e analogo giudizio si può dare del coro - ha ben recepito il taglio vivace e agile dell'interpretazione di Aprea, dando una buona prova di duttilità e facendosi apprezzare anche una certa ricerca di sonorità da 'primo Ottocento', che lascia ben sperare per le future produzioni di questo periodo e dei quelli precedenti. Unico neo è da riscontrare nei recitativi: viene da chiedersi a cosa giovi la maggiore preoccupazione 'filologica' nell'adoperare un fortepiano al posto del clavicembalo, se poi si dimentica il necessario lavoro di studio e di approfondimento specifico nella realizzazione del basso continuo, col risultato di ridurre l'accompagnamento a pochi asfittici arpeggi più consoni alle aule di una scuola di musica che a una rappresentazione teatrale. Note di merito, infine, per l'intero cast vocale: successo personale per il triestino Riccardo Botta, un Nemorino sgargiante ma tenero nella sua semplicità contadina, e per Valeria Esposito, una vezzosa Adina che non ha mancato di giocare sui virtuosismi d'agilità vocale; tra gli altri personaggi ancora da sottolineare l'ottima prova offerta da Enrico Capuano nella parte del basso comico per definizione, quel Dulcamara in cui Donizetti sembra concentrare l'elemento 'buffo' di quest'opera. Teatro praticamente esaurito, consueta eleganza delle prime tergestine, lunghi applausi alla fine: ancora una volta si è rinnovata la magia di questo lavoro che la tradizione vuole scritto in sole due settimane.

Note: Nuovo allestimento del Teatro Lirico "Giuseppe Verdi" di Trieste. Recite anche il 29 novembre, 1 dicembre 2002 al Teatro Nuovo Giovanni da Udine - Udine

Interpreti: Adina: Valeria Esposito /Yelda Kodally; Nemorino: Riccardo Botta /Danilo Formaggia; Belcore: Domenico Balzani /Gianfranco Montresor; Dottor Dulcamara: Enzo Capuano /Filippo Morace; Giannetta, villanella: Anna Chierichetti /Veronica Vascotto

Regia: Ivan Stefanutti

Scene: Ivan Stefanutti

Costumi: Ivan Stefanutti

Orchestra: Orchestra del Teatro Lirico "Giuseppe Verdi" di Trieste

Direttore: Bruno Aprea

Coro: Coro del Teatro Lirico "Giuseppe Verdi" di Trieste

Maestro Coro: Marcel Seminara

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