Il pesante portone del tempio che non si richiude al momento opportuno nonostante i tentativi di due armigeri imbarazzati, suscitando l'ilarità della folla; un carro che va in fiamme proprio mentre il protagonista intona "S'appressan gl'istanti d'un ira fatale" alle spalle di un manipolo di Assiri in legittima apprensione con un involontario effetto-rogo molto apprezzato dal pubblico che applaude anche i pompieri intervenuti con gli estintori. Sono incidenti di percorso sempre possibili nel marchingegno spettacolare dell'Arena e che alla prima di "Nabucco" hanno rischiato di far crollare nel ridicolo tutta la magia della gran fiaba popolare. Ma l'Arena è fatta così e così è fatta l'Opera, capace di recuperare in qualsiasi momento i propri diritti fascinatori. Il che è inevitabile quando, sul podio, vi sia un demiurgo come Daniel Oren. Nell'anfiteatro gremito e stellato come nella migliore iconografia veronese, Oren - che ama quest'opera discontinua e persino farraginosa della giovinezza verdiana - piega il gusto dell'iperbole che gli è peculiare, alla ricerca di un equilibrio in cui brividi, impeti, lirici incanti, hanno il senso dello Stupore e il fraseggio è sempre emozionalmente vivo e sostenuto: tanto in orchestra (al solito la più penalizzata dall'acustica dell'arena) quanto sul palcoscenico. E' una lettura che esalta il respiro di popolo ovvero il centro corale dell'opera. Ma c'è di più. Oren fa del coro una sorta di scenario fonico, che risolve il problema dello spazio abnorme, che investe la scena disadorna attraversata da idoli ambigui, da inquietanti figure zoomorfiche sciorinanti drappi purpurei. Sullo sfondo naturale dei gradoni di pietra che si compattano come una sorta di praticabile muro del pianto. Conflitti di colori, di veli e di stracci. Qualche speciale colpo di luce... incidenti citati a parte. Molte trovate per questa attesa nuova produzione firmata (scene e regia) da Graziano Gregori. Ma poca cosa, in fondo, se non l'effetto ben riuscito dello spalancarsi del tempio per l'irruzione improvvisa del coro nel primo atto. Superfluo quasi dire che il "Va pensiero" - nell'interpretazione di Oren - è davvero memorabile. Basterebbe l'accento, subito ritenuto, sulle parole "sì bella... e perduta". O l'estremo accordo sospeso su un pianissimo che vorrebbe galleggiare nell'aria, ma che la folla, con sensibilità da stadio, vanifica e sommerge intempestivamente di applausi. Bis a furor di popolo. Oren ci sta. A patto però che non si applauda prima del termine. Lo dice. Ma è come parlare al vento. Alberto Gazale (Nabucco di morbida ma non imperiosa vocalità lirica) paga lo scotto della giovinezza in un ruolo che saggia quasi la tragicità di Lear. Giacomo Prestia (Zaccaria) paga invece lo scotto di un incipiente logorio. Poderosa invece, se non sempre impeccabile nelle perigliose agilità, la voce areniana e ferrigna di Andrea Gruber. Sorprendente per squillo ed incisività l'Ismaele di Marco Berti.
Note: Nuovo allestimento
Interpreti: Alberto Gazale (20, 25, 28, 31/7) / Leo Nucci (4, 9/8) / Alexandru Agache (13, 16, 20, 25, 30/8); Marco Berti (20, 25, 28, 31/7 - 4, 9/8), Nazzareno Antinori (13, 16, 20, 25, 30/8), Giacomo Prestia (20, 25, 28, 31/7 - 4, 9/8) / Kristinn Sigmundsson (13, 16, 20, 25, 30/8), Andrea Gruber (20, 25, 28, 31/7 ? 4, 9, 13, 16, 20/8) / Micaela Carosi (25, 30/8), Susanna Poreczky (20, 25, 28, 31/7 - 4, 9/8) / Tiziana Carraro (13, 16, 20, 25, 30/8), Carlo Striuli, Mario Bolognesi (20, 25, 28, 31/7) / Angelo Casertano (4, 9, 13, 16, 20, 25, 30/8), Patrizia Cigna
Regia: Graziano Gregori
Scene: Graziano Gregori
Costumi: Carla Teti
Corpo di Ballo: Corpo di ballo dell'Arena di Verona
Coreografo: Aurelio Gatti
Orchestra: Orchestra dell'Arena di Verona
Direttore: Daniel Oren
Coro: Coro dell'Arena di Verona
Maestro Coro: Armando Tasso