"Vi preghiamo cortesemente di spegnere i telefoni cellulari durante lo spettacolo", tuonava una voce su nastro registrato qualche secondo dopo che il pubblico triestino, agghindato per le grandi occasioni, si era appena sistemato, rilassato, su scranni e poltrone, stipando platea, pepiani, palchetti e loggione. All'avvertimento seguiva a ruota la rumorosa uscita di Oren che, impugnata la bacchetta, faceva scattare in piedi orchestra e spettatori (mani al petto e bocche canticchianti) con l'Inno di Mameli, in tempo 'allegro con brio'. Beh, sano patriottismo quanto si vuole, ma la sequela preludiante il gala era lievemente comica, tanto più che a teatro dovevamo assistere non alle gioie ma ai dolori di Werther. Si è aperta dunque con il capolavoro di Massenet la stagione lirica 2002-2003 del "Verdi" di Trieste, affidato alla direzione di Daniel Oren che ha profuso anima, corpo e... capelli, misurando finalmente i suoi soliti, eccessivi, balzi a molla e contenendo i grugniti vocali nei momenti più trascinanti della partitura. L'allestimento, proveniente dal Théatre du Capitole di Toulouse, sulla carta poteva far ben sperare, ma si è rivelato più che deludente. Convenzionale, manierato, zeppo di dettagli stilisticamente pasticciati. Se si vuol essere convenzionali perché mai non ci si attiene alla volontà dell'autore che aveva collocato il suo "Werther" nel 178...? Ha senso accostare nella scena del III atto (il boudoir di Albert e Charlotte), come se fosse materiale da trovarobato, elementi parietali neoclassici, un divanetto rivestito di paglia Thonet, un tavolo "Reggenza" e seggiole "Biedermeier"? Era il 178... o si è pescato nei depositi del teatro, finendo per creare una scenografia piuttosto incerta tra primottocento e decenni successivi? E poi, la scena finale, quella dello studio di Werther, in cui avviene il suicidio del protagonista, che diventa invece paesaggio archeologico, o meglio un ammasso di ruderi greco-romani, vorrebbe forse ricondurre oniricamente ai versi ossianici tradotti in passato da Werther, citati nel III atto nel dialogo tra Werther e Charlotte? Non era chiara affatto l'intenzione di Hubert Monloup, artefice delle scene e dei costumi, e del regista, Nicolas Joel, tra l'altro direttore artistico del predetto Capitole di Toulouse. Ma forse non ha grande importanza, poiché "Werther" ha bisogno prima di tutto di un grande interprete, che sappia affascinare e commuovere. E quello c'era; ed era un tenore di grazia qual'è Marcelo Alvarez, gran dominatore della serata, che ha strappato battimani a non finire da principio a fine e almeno 5 minuti di applausi e di richieste di bis dopo aver eseguito incantevolmente "Porquoi me reveiller". Bell'uomo, agile, Alvarez rappresentava tutte le passioni di Werther. Ma, ahimé, la tenera Charlotte era incarnata dal matronale mezzosoprano albanese Enkelejda Shkosa, dotata di voce potente, ma fastidiosa, perennemente vibrata e urlata negli acuti. Una coppia mal assortita, a nostro giudizio, poiché Charlotte pareva la vecchia zia di Werther, e non l'amata. Anche Maria Costanza Nocentini, nel ruolo di Sophie, la sorella di Charlotte, non riusciva a disegnare la gioia e l'innocenza proprie della quindicenne, oltre a non far percepire le parole. Se il gruppo femminile era quello che era, il cast maschile oltre ad Alvarez, ha decisamente dominato; possiamo lodare sia l'interpretazione di Albert da parte di Marc Barrard che quella del Podestà affidata al basso Carlo Striuli. Simpatiche le brevi presenze in scena di Max René Cosotti e di Angelo Nardinocchi nei panni degli amici brilli del Borgomastro. Lodevole la resa dei sei fanciulli, provenienti dal Coro "I piccoli cantori della Città di Trieste" ben preparato da Maria Susowky, impegnati a cantare l'ossessiva canzone di Natale, una pagina musicalmente proprio bruttina. Pubblico soddisfattissimo e calorosamente plaudente.
Note: Allestimento del Théátre du Capitole di Toulouse
Interpreti: Marcelo Alvarez/Stephen Mark Brown, Gilles Cachemaille, Carlo Striuli, Enkelejda Shkosa/Chiara Chialli, Maria Costanza Nocentini/Anna Skibinsky, Enzo Peroni, Angelo Nardinocchi
Regia: Nicolas Joël
Scene: Hubert Monloup
Costumi: Hubert Monloup
Orchestra: Orchestra del Teatro Lirico "G. Verdi" di Trieste
Direttore: Daniel Oren
Coro: Coro delle voci bianche "I Piccoli cantori della Città di Trieste"
Maestro Coro: Maria Susowky