Anche nelle Canarie si studia Contrappunto

"L'impresario delle Canarie", intermezzo in due parti di Padre Giovanni Battista Martini sul testo di Metastasio musicato per primo da Domenico Sarro, è stato proposto dal Pergolesi Spontini Festival nel teatro-miniatura di Monte San Vito, in una forma che ricordava quella delle "accademie" musicali tedesche. La partitura di Padre Martini è parsa non priva di personali particolarità stilistiche.

Recensione
classica
Festival Pergolesi Spontini Monte San Vito - Jesi
Giovanni Battista Martini
31 Agosto 2002
Nella programmazione del Pergolesi-Spontini Festival (quest'anno dedicato al primo della diade) ha trovato posto anche uno dei cinque Intermezzi di Padre Giovanni Battista Martini che un manoscritto bolognese ci tramanda in blocco: si tratta de "L'impresario delle Canarie", testo (in due parti) di Pietro Metastasio, concepito come consueta farcitura comica del suo primo libretto serio interamente originale, la "Didone abbandonata", musicata nella prima napoletana del 1724 (con tutti gli intermezzi) da Domenico Sarro. In questa esecuzione, proposta nel delizioso, minuscolo Teatro Condominiale "La Fortuna" di Monte San Vito (nei dintorni di Jesi), il lavoro martiniano è stato proposto in una forma che voleva ricalcare quella delle accademie tedesche, cioè riunioni musicali durante le quali venivano eseguiti brani sia strumentali sia vocali, attinti spesso al repertorio italiano: per questo nel programma trovavano posto (tra le altre cose) anche una Sonata di Haendel e un Concerto per cembalo di Bach. Il libretto metastasiano mette alla berlina, grazie anche alla tecnica del "teatro musicale al quadrato" vezzi e vizi di cantanti-dive e impresari-sedicenti poeti e musicisti, seguendo una vena cui Benedetto Marcello aveva dato lustro quattro anni prima col suo "Teatro all moda". La cultura, e il connesso pensiero compositivo di Padre Martini, vengono sottilmente allo scoperto anche in quest'ora e mezza di musica, nelle arie e nei duetti (tutti col da capo): contrappuntista edotto del repertorio vocale cinquecentesco, ma musicista pienamente del suo tempo nella conoscenza e nella pratica stilistica, il bolognese scieglie decisamente - ed ovviamente, visto il genere assolutamente refrattario ad ogni influenza antiquaria - le impalcature linguistiche del periodo e, appunto, quelle stilistiche del genere, ma le declina con qualche interessante particolarità. Ad esempio, a differenza della scrittura di Pergolesi, il canto dei due personaggi - Dorina e Nibbio - non riprende mai testualmente la proposta tematica del violino nel ritornello iniziale (il secondo violino è sempre all'unisono, salvo un unico brano in cui si muove per terze col primo); tale sostanza tematica viene impiegata nel corso dell'Aria quasi come uno strato contrappuntistico indipendente, così come le parti del canto, dando luogo pertanto ad un tessuto a 3-4 voci dal sapore più "dotto" e strumentale che teatrale. Che poi Padre Martini sia capace di fare teatro, lo si nota in alcuni particolari ritmici, molto personali, ma pur sempre più "intellettuali" che nati sulla praticaccia della parola teatrale, oppure nelle arditezze armoniche e timbriche - queste veramente di grande peso espressivo - dell'unico splendido recitativo accompagnato. Data la scala ridottissima del palco del teatrino all'italiana, la scelta del regista Idalberto Fei è parsa intelligente nel risolvere virtuosamente le necessità: cantando le voci "in forma di concerto", l'azione era illustrata da una baracca di pupazzi, al di sopra degli esecutori; peccato che questo livello non andasse, per l'appunto, al di là dell'illustrazione, "schermato" anche dal gesto esecutivo che sopravveniva in primo piano. Dorina e Nibbio erano rispettivamente Barbara Di Castri e Luciano Di Pasquale; il secondo, per maturità e qualità vocale, si è lasciato preferire alla prima, che comunque ha fatto il suo dovere in una vocalità (e in uno spazio acustico) colloquiale e caratterizzata dalla parola, come quella dell'intermezzo. Gli interpreti strumentali erano i cinque archi del "Sonorum Concentus", concertati al cembalo da Federico Amendola, anche revisore delle fonti: una defezione improvvisa e conseguente sostituzione dell'ultimo istante (del primo violino) ha costretto il gruppo ad un superlavoro intensivo di riassestamento, lavoro che al momento dell'anteprima di sabato non era ancora concluso, ma che faceva sperare in meglio - con alcuni saggi accorgimenti - per la recita di domenica, nella quale il successo di pubblico è risultato franco e partecipato.

Note: Allestimento: "Il Laboratorio - Teatro dei Burattini" (Antonella Cappuccio - Vito De Simone)

Interpreti: Barbara Di Castri, Luciano Di Pasquale

Regia: Idalberto Fei

Orchestra: Ensemble "Sonorum Concentus"

Direttore: Clavicembalo, direzione e revisione: Federico Amendola

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento

classica

Napoli: Dvorak apre il San Carlo

classica

Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.