Più di Manon seduce Des Grieux

inserite qui il testo in breve

Recensione
classica
Teatro Lirico Giuseppe Verdi Trieste
Jules Massenet
23 Marzo 2002
Quattro anni fa il Teatro "Verdi" di Trieste aveva coraggiosamente ripristinato l'edizione integrale di "Manon", quell'abile, frivola sceneggiatura del grand siècle creata dall'abate Prévost che Massenet aveva rivisitato dando luogo a un seducente e labirintico mosaico di citazioni colte, falsi musicali, passaggi repentini dal recitativo all'arioso, dal parlato al cantato, motivi conduttori bellissimi, languide frasi e melodie ricurve. Notissima ad ogni pubblico, ma poco nota nella versione con il complesso quadro en plein air della brulicante, sottile kermesse umana al Cours-La-Reine in cui la protagonista offre appieno, con i suoi jais scintillanti, il carattere volubile della grande immorale e in cui il divertissement ballettistico gioca un ruolo strategico, "Manon" è andata in scena ieri sera a Trieste con i consueti tagli che ne depauperano l'essenza e gli effetti massenetiani giocati sui contrasti. Si sentiva l'assenza di quel quadro ricco di situazioni e di tipi sfumati che aduna il popolano, l'aristocratico, il borghese, l'artista, il militare, la demi-mondaine, sui quali si erge Manon, la femme publique sensuale e scaltra. Ma si avvertiva anche la mancanza del finale del I atto, concluso nel momento in cui si esaurisce il duetto di Manon e Des Grieux. Certo i tagli penalizzano le calcolatissime simmetrie tracciate da Massenet, ma è pur vero che nella maggior parte dei casi si tende ad offrire al pubblico tale versione accorciata e alleggerita onde evitare ulteriori difficoltà ai protagonisti, messi duramente alla prova da una partitura irta di difficoltà vocali ed espressive, e a far in modo che gli spettatori guadagnino l'uscita non proprio nel cuore delle tenebre notturne. Comunque non ci soffermeremo sul taglio musicologico, visto che un'esecuzione vale soprattutto per il suo appello comunicativo e per la forza di convinzione che riesce a trasmettere allo spettatore. Si è dunque preferito un ritorno alla tradizione e, come tradizione vuole, anche le scene, organizzate da Ivan Stefanutti, che ha curato pure costumi e regia, rientrano nella norma: la locanda ad Amiens dove ha luogo il I atto risulta piuttosto banale; l'appartamento di Des Grieux nel II atto è anch'esso insignificante e mortificato da tinte spente; meglio vanno le cose con il parlatorio del seminario di Saint-Sulpice, funereo ed austero, ove, entro il nero dominante, campeggiano una scalinata grigiastra e digradanti altarini sui quali poggiano alti ceri che irradiano fissità rossastre; coloratissima e con bei costumi giocati sui toni del turchese, acqua-marina, verde acidulo e lilla, è l'ambientazione all'Hotel de Transilvanie; essenziale poi la collocazione del finale nel porto di Le Havre, con un albero stecchito su un lato e un fondale tinteggiato al tramonto. Stefanutti, che spesso ha firmato scene e regie originali e a volte ardite, ha pensato di accontentare il pubblico triestino, ancorato alla consuetudine e refrattario alle novità radicali, con questa connotazione storicistica poco fantasiosa. Tuttavia con pieno dominio orchestrale, lucidità strutturale e ammirevole empito di sentimenti si è mossa la lettura di Daniel Oren, che ha governato il terreno musicale riscattando la convenzionale mediocrità registica e scenica di Stefanutti. Sotto la guida di Oren strumenti, coro e solisti si inoltrano con sicurezza nel reticolo della partitura, un'opera di grande stile che vive di un retroterra aulico, classicistico, e romanticamente spaesato. Se n'era accorto tra i primi Debussy, il quale nelle pagine dedicate a Massenet comprese nella silloge intitolata "Monsieur Croche antidilettante", sosteneva che "Manon" eseguita come si deve non è per nulla facile. A quali cantanti il compito di resuscitare plasticamente quel tipo di ricerca sonora frammentata in dettagli tanto varii? Nel ruolo del titolo abbiamo ascoltato Stefania Bonfadelli, ottimo soprano di coloratura, ma che non ha ancora lo smalto e la malia di una Favero, di una Chiara o di una Freni per incarnare l'ammaliatrice scaltrita in cui convivono inquietudini e lacerazioni interiori. La sua voce agile e i suoi atletismi lirici non sono sufficienti a dar vita a Manon. La Bonfadelli manca di una certa vena sensuale, di quella téntation consumata, e non dà dunque il giusto rilievo alla sfaccettature di Manon; i toni maliziosi, nostalgici, ingenui, vibrati, furbeschi, scanzonati e drammatici paiono piuttosto implosi in una specie di atonia, denunciata anche dalle movenze, lievemente statiche e impacciate, da bella statuina. Cosicché la pur brava Bonfadelli non riesce a scavare il personaggio, che richiede un'interpretazione psicologicamente complessa e duttile nelle tinte. Per contro il protagonista del lavoro di Massenet si è invece rivelato il giovane tenore messicano Rolando Villazon, dotato di una voce aperta, bellissima: grazia, eleganza, maestria nell'assortire climi espressivi diversi e qualità attoriali sono state da lui profuse a Des Grieux con inaspettata facilità e naturalezza. Villazon fraseggia da finissimo musicista e canta sul fiato da vero maestro. Sa essere raffinatissimo, poetico, innamorato, accorato, sensuale, combattuto, ilare, tragico, tant'è che la sua morfologia vocale è decisamente da manuale. E' espressivo anche quando, ritto in piedi, mentre è solo nel parlatorio di Saint-Sulpice, in attesa di prendere gli ordini sacri, muove appena appena le mani per accompagnare misuratamente la sua tormentata méditation tenorile. Insomma un tenore di cui sentiremo parlare molto e che, a pochi anni dal debutto e dalla vittoria in agoni canori internazionali (tra cui quello promosso da Domingo), appare già convincente e completo. Bravi e penetranti anche Alfredo Daza (Lescaut), Giovambattista Parodi (il Conte Des Grieux) e Piero Terranova (Brétigny) insieme a una fitta folla di comprimari, coristi, comparse e un ipnotico coro interno. Pubblico numeroso e caldissimi consensi, in particolare per Villazon e Oren.

Interpreti: Bonfadelli, Villazon, Daza, Parodi, Terranova

Regia: Ivan Stefanutti

Scene: Ivan Stefanutti

Costumi: Ivan Stefanutti

Orchestra: Orchestra del Teatro Lirico Giuseppe Verdi

Direttore: Daniel Oren

Coro: Coro del Teatro Lirico Giuseppe Verdi

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Torino: inaugurazione di stagione con Le nozze di Figaro

classica

Saltata la prima per tensioni sindacali, il Teatro La Fenice inaugura la stagione con un grande Myung-Whun Chung sul podio per l’opera verdiana

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento