Un teatro oscuro

Difficile stare dietro ad una messinscena così concepita: nessun appiglio di natura teatrale (niente scenogarfia, trama, azione) una musica discontinua senza un senso. Eccellente tuttavia la prova degli intepreti.

Recensione
classica
Biennale Musica Venezia
Marco Di Bari
29 Settembre 2001
Se con questo spettacolo si è voluto rappresentare in tutta la sua verità la menomazione che la cecità comporta ed il dramma esistenziale che da essa può conseguire, ci si è riusciti, nel senso che la messinscena è continuamente attraversata da difficoltà percettive che investono lo spettatore sotto ogni punto di vista. Ricordando brevemente la materia a cui Di Bari, con la collaborazione di Maurizio Vitta, ha fatto riferimento per la sua seconda esperienza teatrale, si possono innanzi tutto citare le suggestioni da cui essa prende vita: quelle derivate dalla visita al torrione di fronte al castello di Edimburgo, la lettura di "Cecità" di Saramago, la visione di una mostra organizzata dall'Unione Mondiale Cechi; nel libretto si svolge, quindi, una riflessione sulla cecità che colpisce per via ereditaria una donna ed il bimbo che ha in grembo, fanno parte del dramma anche la madre della donna ed il marito. Forse l'ironia è eccessiva, ma è inevitabile sottolineare, come si accennava in apertura, che del buio e dell'oscurità il pubblico fa un'esperienza diretta, purtroppo non per i meriti di una macchina teatrale efficace, bensì per il suo pessimo funzionamento. Oscuro è innanzi tutto il senso di un progetto che di teatrale ha certo ben poco: il soggetto non ha uno svolgimento in una seppur esile trama, l'assenza dell'azione non trova una adeguata compensazione nello sviluppo della psicologia dei ruoli la cui manifestazione è affidata a battute che, quando sono materialmente comprensibili, sono però prive di senso, la scenografia inesistente non può certo aiutare; da ricordare anche la fatica che si è fatta per inseguire i personaggi impegnati in spostamenti intorno a tutto il perimetro della sala. Non si può togliere troppo al teatro, e soprattutto al teatro musicale, che già parte svantaggiato in quanto a comprensione testuale, l'eccessiva rarefazione dei mezzi, in questo caso, nuoce irrimediabilmente all'intento espressivo: si finisce per non capirci più niente. La musica sostiene coerentemente questa messinscena: la partitura è fortemente frammentaria, i materiali sono eterogenei, la loro valenza teatrale è debole, e questa assenza di una qualche concatenazione fa continuamente perdere il filo del discorso musicale, le poche trovate timbriche non sono sufficienti a ripagare dello sforzo di comprensione richiesto da una partitura così concepita. Da lodare, dopo queste riflessioni, l'impegno degli interpreti, in primo luogo degli strumentisti protagonisti di una prova eccellente, buona è stata anche l'esibizione delle voci, qualche incertezza per il coro. Però che spreco di belle energie! Il pubblico a sorpresa ha accolto lo spettacolo con ovazioni.

Note: prima assoluta

Interpreti: Caielklo, Zavalloni, Abbondanza, v rec Nogara

Regia: Andrea Taddei

Scene: Andrea Taddei

Costumi: Andrea Taddei

Orchestra: pf Canino, fag Gallois, vlc Grimmer, sax del Quartetto Accademia, quartetto di legni e quartetto di ottoni del "Laboratorio Nova Musica"

Direttore: Ermanno Florio

Coro: Athestis Chorus

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