La quinta volta di La Traviata alla Scala nell'edizione Muti-Cavani. Direzione raffinata, in parte a scapito della tensione drammatica, regia sempreverde.
Quarta ripresa di La Traviata, dopo il debutto del 1990 che ruppe il ghiaccio e la paura d'affrontare l'opera simbolo di Maria Callas. Ormai iscritta di routine nei cartelloni scaligeri, in occasione dell'anno verdiano è stata preceduta da Il Trovatore e Rigoletto a chiudere la cosiddetta trilogia popolare. Stiamo assistendo a qualcosa d'inimmaginabile solo pochi anni fa, l'istituzione di un teatro lirico di repertorio, per di più con la garanzia di un buon livello. Una volta l'Opera di Monaco era invidiata proprio per questo, ma era un discorso poco recepito dalle nostre sovrintendenze. E di buon livello è stata la serata di ieri (ci scusiamo coi lettori per aver mancato la prima del 10 marzo a causa dei pochi posti disponibili), anche se con qualche interrogativo non risolto. Muti ha proseguito il percorso iniziato con Il Trovatore, estrema cura dei dettagli, trasparenza in tutta l'orchestra, che il questi mesi si sta comportando al meglio, ma con vistosi squilibrii di tempi. Succedono improvvisi rallentamenti, anche nei momenti più intensi, tanto da diventare spesso meri esercizi calligrafici, con conseguente perdita di tensione drammatica. Un forzato stemperare che ha avvolto l'intera opera in un senso di noia raffinata. In contrasto, scoppiano altrettanto improvvise e inconsulte delle accelerazioni, che non servono affatto ad aumentare la tensione, anzi. Come per esempio nel tema del gioco nel secondo quadro del secondo atto, dove la tremenda pulsione che minaccia il dramma imminente è livellata da un veloce tirar via. In compenso viene evitato ogni pericolo di effetto pompier, il brindisi passa con eleganza senza bloccarsi in effettacci. Andrea Rost (Violetta) è di grande bravura e fisico adatto (una toccante creaturina indifesa), ma è come senza colore, algida. Riesce perfino, complice la direzione, a trasformare "Dite alla giovine" in un'aria da concerto. Giuseppe Sabbatini (Alfredo) è penalizzato dall'ampiezza della sala, più autorevole Roberto Frontali (Germont). Ma tutti e tre a un buon passo indietro dai rispettivi personaggi. La regia di Liliana Cavani, ripresa da Marina Bianchi, funziona ancora perfettamente. Non offriva e non offre soluzioni innovative, ma proprio per questo non dimostra l'età che ha. Il tempo sembra dare ragione alle messe in scena pacate. La vera sorpresa della serata è stata la sala piena come non mai, non un posto vuoto, nemmeno uno strapuntino in fondo alla platea. Gli spettatori non erano quelli canonici: facce diverse e applausi a scena aperta a partire dal secondo atto. Un pubblico per la maggior parte di tipo turistico, caloroso. Segno che il "pacchetto" della trilogia vediana è un prodotto di facile vendibilità per le agenzie. Operazione perfettamente riuscita da un punto di vista amministrativo, anche se di fatto ha escluso da Rigoletto e Traviata gli abbonati tradizionali.
Interpreti: Rost, Sabbatini, Frontali
Regia: Liliana Cavani ripresa da Bianchi
Scene: Dante Ferretti
Costumi: Gabriella Pescucci
Orchestra: Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore: Riccardo Muti
Coro: Coro del Teatro alla Scala
Maestro Coro: Roberto Gabbiani
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