Gli intrecci di "Questa debole forza”
Parma: le iniziative di Lenz
Una fonte di ispirazione che nella dimensione modellata in “Questa debole forza” viene distillata in un intreccio di rimandi che mischiano le suggestioni raffigurate dalle statue togate – testimoni antiche del culto della dinastia giulio-claudia che segnava la città di Veleia – sfondo ideale da un lato per le proiezioni visive, caratterizzate da un onirico bianco e nero, e dall’altro per i movimenti dei due attori in uno spazio che confinava idealmente con il ristretto pubblico. Brandelli di parole, suoni, immagini e gesti plasmati da Francesco Pititto, responsabile di drammaturgia e imagoturgia, Maria Federica Maestri, curatrice dell’installazione site-specific e regia, e Claudio Rocchetti compositore di una partitura fatta di nastri e field-recordings.
Frammenti dal secondo atto del “Flauto magico” mozartiano vengono cantati a sola voce dal basso Eugenio Maria Degiacomi, incarnando l’attesa di Papageno (“Nun! ich warte noch! es sei - ich warte noch! nun - es sei - bis man zählet: eins, zwei, drei! / Ebbene! aspetto ancora! sì - aspetto ancora! ebbene - sia - fino a contare: uno, due, tre!”), mentre in scena Chiara Garzo recita con efficace suggestione i testi tratti da Hölderlin, in una combinazione misurata e pregnante di indagine linguistica, ambientazione archeologica e segni elettronici. I “non colori” del bianco e del nero dalle proiezioni rotanti tra le statue del museo si riverberano nei costumi degli attori sulla scena: bianco, pulito e lineare quello del personaggio maschile, nero, materico e “sonoro” quello del personaggio femminile. Segni che si ritrovano traslati anche nei suoni, ora più affilati ora più densi e raggrumati, che accompagnano l’azione e la parola fino a svanire in un silenzio sospeso, che precede di un attimo gli applausi del pubblico presente.
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