Tra il buio e la luce
MaerzMusik di Berlino atto terzo
La serata lunedì 20 è arrivata a espandersi su tre tempi, non brevi, insinuandosi nelle pieghe in cui il pensiero sonoro occidentale del XX secolo ha guardato a oriente, fino a esempi di recentissimo connubio. Chi scrive, anche per redigere questa cronaca, si è dovuto arrendere prima che i lavori firmati da Jeremy Woodruff (una convoluzione di Bodin de Boismortier e Sankarabhanarama) e Ramesh Vinayakam, nonché musica karnatica, potessero tentare di risollevare un tour-de-force un po’ diseguale. D’altronde, siffatte impaginazioni incoraggiano una partecipazione elastica alle varie fasi della serata da parte del pubblico, il quale – in autentica Festatmosphäre – non se si lascia scappare occasioni di pausa o evasione nel café del teatro o in quello più vicino. Manco a dirlo, a fare il solito figurone è stata la musica di Scelsi: in Manto i bordoni della viola scordata mirano sempre più chiaramente al ruolo di generatori di spettri in-armonici, come l’uso della voce nell’ultimo pezzo (bravissima, a volte fin troppo precisa e ‘polifonica’, Kristin Maria Pientka). L’estenuante lavoro ritualistico di Vivier (Learning) è uno studio sulla generazione melodica, con Messiaen sullo sfondo, e qualche zampata lì dove la sospensione tonale-modale è più riuscita. Chennai Scenes di Ana Maria Rodriguez è parsa un’ampia cadenza del clarinetto (contra)basso con corteggio di colorazioni etnico-elettroniche. Alvin Lucier, uno dei festeggiati della rassegna, era presente con due titoli di prose music: anche se risalgono agli anni Settanta, lavori del genere mantengono qualcosa dello spirito ‘fluxus-60ies’, nel quale spesso il concetto, l’idea in quanto tale, travalica la realizzazione. Nondimeno, il portato simbolico-gestuale di Love song (due violini collegati da una corda sonora metallico applicata ai ponticelli, coi due performer che suonano-ruotano alla distanza della corda tesa, legati eppure allontanati) si rivela plastico e fulminante; l’idea di Memory Space è stata invece convertita troppo letteralmente come brano cameristico dagli interpreti. Ciò non toglie che tutti si siano dimostrati d’alto livello esecutivo, meritando – insieme a Lucier – un plauso convinto di una sala inizialmente (cioè prima che le sirene dei café berlinesi attirassero musiconauti) affollatissima...
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