L'Aquila è contemporanea
Lo stato della musica d'oggi in Italia
Recensione
classica
Con un concerto-performance delle classi di Musica Elettronica del Conservatorio “Casella” si è conclusa la prima edizione di “L’Aquila Contemporanea Plurale”, un festival promosso e realizzato dalle maggiori istituzioni musicali aquilane (Società dei Concerti “Barattelli”, Solisti Aquilani, Istituzione Sinfonica Abruzzese) e dalle tre istituzioni didattico-artistiche dell’alta formazione con sede nel capoluogo (Università, Accademia di Belle Arti, Conservatorio). Si è trattato di una cinque-giorni molto densa, di regola con due appuntamenti giornalierin che – accanto alla formula concertistica – ha spesso privilegiato la forma dell’incontro: Ivan Fedele e Michele dall’Ongaro sono stati protagonisti di due quasi-monografie, ma anche figure quali Matteo D’Amico, Luca Lombardi, Stefano Taglietti, l’israeliano Erel Paz, sono saliti sul palco per discorrere con gli organizzatori della loro musica e dello stato della musica (d’)oggi in Italia.
Un’iniziativa di rete, insomma, lodevole e da incoraggiare: ormai, a distanza di 7 anni dal sisma, tutte le maggiori realtà culturali aquilane hanno risolto almeno i problemi logistici e di sede per le attività (tutte le iniziative della rassegna hanno trovato posto nel nuovo, bell’Auditorium del Parco progettato da Renzo Piano, compresa un’esposizione di opere di studenti dell’Accademia); anche se permangono problemi legati alla precarietà del sostegno degli enti territoriali, sospesi tra disattenzione e oggettive difficoltà, c’è ora un margine più ampio – anzi quasi necessario – per progettualità di questo tipo, e ci si augura che la rassegna possa vivere e crescere nei prossimi anni, coinvolgendo altri soggetti e forme d’espressione artistica e perfezionando la sua struttura. Le esecuzioni inoltre si sono dimostrate di ottima qualità (a riprova che organismi esecutivi ‘generalisti’ possono fare benissimo musica contemporanea), e i contenuti delle proposte sempre ricchi e variegati.
L’Orchestra Sinfonica Abruzzese, diretta da Fabio Maestri, si è brillantemente ben disimpegnata nella figuralità timbrica di lavori di Ivan Fedele, tra cui la versione per orchestra d’archi dell’ampio e articolato Morolòja Kè Erotikà, con la notevole voce solista di Valentina Coladonato e la recitazione dei testi in grico – con traduzione immediata – di Brizio Montinaro, che ha permesso di seguire al meglio l’alternanza nella partitura degli episodi di lamentazione e di slancio vitale-amoroso; nella stessa serata, un’intrigante première di Andrea Manzoli, Abstract Extension, il cui violoncello solista (il bravissimo Fernando Caida Greco) operava su uno strumento a corde di budello, le cui sonorità si riflettevano con buona coerenza nella trama orchestrale. Simile, encomiabile risultato nell’appuntamento dedicato a dall’Ongaro, la cui nitida e dinamica figuralità non ha pregiudicato i difficili e scoperti assiemi con i solisti (l’ottimo Ars Trio) in Freddo; anche qui, una première, Tre dipinti neri (da Goya) del fiorentino Giovanni Dario Manzini, un lavoro in cui la materia sonora si rigenera continuamente in percorsi di crescita-troncamento. Hanno sempre ben figurato anche gli strumentisti dei Solisti Aquilani nei momenti serali della rassegna, nonostante i numerosi lavori programmati, tra i quali si son potuti apprezzare l’imprevedibilità di percorso in Fluido fiume di Taglietti, la libertà e la logica insieme in Come d’autunno di Lombardi, la solidità del tragitto formale in Fil rouge di Cardi, la precisione di traiettoria in Amore e Psiche di D’Amico, e le fascinose ma coerenti avventure ritmiche o timbriche nei brani di Nova e Crumb. La serata conclusiva ha proposto due autori ‘elettronici’ attivi proprio a L’Aquila: nei 2 pezzi di ascolto e sorveglianza Agostino Di Scipio prosegue la sua indagine sull’interazione tra auscultazione del materiale nello spazio acustico (del luogo e dell’interno dello strumento) e intervento live del performer, mentre in [re.spì-ro] di Maria Cristina De Amicis molto chiari era la relazione-mediazione tra i tre strati sonori, uno dei quali del flauto dal vivo; la riuscita di queste esecuzioni si deve anche alla duttile bravura del solista, Gianni Travalusci. Per ulteriori informazioni su questa prima edizione – nell’auspicio di vederne realizzare una seconda: L'Aquila
Un’iniziativa di rete, insomma, lodevole e da incoraggiare: ormai, a distanza di 7 anni dal sisma, tutte le maggiori realtà culturali aquilane hanno risolto almeno i problemi logistici e di sede per le attività (tutte le iniziative della rassegna hanno trovato posto nel nuovo, bell’Auditorium del Parco progettato da Renzo Piano, compresa un’esposizione di opere di studenti dell’Accademia); anche se permangono problemi legati alla precarietà del sostegno degli enti territoriali, sospesi tra disattenzione e oggettive difficoltà, c’è ora un margine più ampio – anzi quasi necessario – per progettualità di questo tipo, e ci si augura che la rassegna possa vivere e crescere nei prossimi anni, coinvolgendo altri soggetti e forme d’espressione artistica e perfezionando la sua struttura. Le esecuzioni inoltre si sono dimostrate di ottima qualità (a riprova che organismi esecutivi ‘generalisti’ possono fare benissimo musica contemporanea), e i contenuti delle proposte sempre ricchi e variegati.
L’Orchestra Sinfonica Abruzzese, diretta da Fabio Maestri, si è brillantemente ben disimpegnata nella figuralità timbrica di lavori di Ivan Fedele, tra cui la versione per orchestra d’archi dell’ampio e articolato Morolòja Kè Erotikà, con la notevole voce solista di Valentina Coladonato e la recitazione dei testi in grico – con traduzione immediata – di Brizio Montinaro, che ha permesso di seguire al meglio l’alternanza nella partitura degli episodi di lamentazione e di slancio vitale-amoroso; nella stessa serata, un’intrigante première di Andrea Manzoli, Abstract Extension, il cui violoncello solista (il bravissimo Fernando Caida Greco) operava su uno strumento a corde di budello, le cui sonorità si riflettevano con buona coerenza nella trama orchestrale. Simile, encomiabile risultato nell’appuntamento dedicato a dall’Ongaro, la cui nitida e dinamica figuralità non ha pregiudicato i difficili e scoperti assiemi con i solisti (l’ottimo Ars Trio) in Freddo; anche qui, una première, Tre dipinti neri (da Goya) del fiorentino Giovanni Dario Manzini, un lavoro in cui la materia sonora si rigenera continuamente in percorsi di crescita-troncamento. Hanno sempre ben figurato anche gli strumentisti dei Solisti Aquilani nei momenti serali della rassegna, nonostante i numerosi lavori programmati, tra i quali si son potuti apprezzare l’imprevedibilità di percorso in Fluido fiume di Taglietti, la libertà e la logica insieme in Come d’autunno di Lombardi, la solidità del tragitto formale in Fil rouge di Cardi, la precisione di traiettoria in Amore e Psiche di D’Amico, e le fascinose ma coerenti avventure ritmiche o timbriche nei brani di Nova e Crumb. La serata conclusiva ha proposto due autori ‘elettronici’ attivi proprio a L’Aquila: nei 2 pezzi di ascolto e sorveglianza Agostino Di Scipio prosegue la sua indagine sull’interazione tra auscultazione del materiale nello spazio acustico (del luogo e dell’interno dello strumento) e intervento live del performer, mentre in [re.spì-ro] di Maria Cristina De Amicis molto chiari era la relazione-mediazione tra i tre strati sonori, uno dei quali del flauto dal vivo; la riuscita di queste esecuzioni si deve anche alla duttile bravura del solista, Gianni Travalusci. Per ulteriori informazioni su questa prima edizione – nell’auspicio di vederne realizzare una seconda: L'Aquila
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