Firenze suona Contemporanea 1
Xenakis "sugli specchi”
Recensione
classica
Avete mai firmato una dichiarazione liberatoria ed esonerativa di responsabilità civile prima di entrare ad un concerto? Bè, all’edizione 2015 di Firenze Suona Contemporanea - oltre dieci eventi tra installazioni, performance e lectio magistralis in varie location urbane dal 9 al 22 settembre - questo è possibile. La zona dedicata al concerto della formazione olandese TRIO 7090, il cortile interno del Museo del ‘900 composto di quattro quadrati di verde, vede i percorsi rettilinei interni che lo spezzano a forma di croce completamente ricoperti di specchi frantumati. È Passi l’istallazione visiva e sonora di Alfredo Pirri che l’11 settembre (quale data migliore…) si è inaugurata con il supporto prezioso del live electronics di Alvin Curran. Camminare sugli specchi non solo vuol dire “suonare”, ma anche modificare le prospettive, le percezioni rispetto a se stessi, all’ambiente. Quindi percorso di per sé pericoloso su vari fronti, anche quello dell’incolumità fisica. Da qui la scelta obbligata della liberatoria all’ingresso.
I tre musicisti, Bas Wiegers (violino), Koen Kaptun (trombone) Nora Mulder (pianoforte), vivono con leggerezza questa strana situazione ambientale, conquistano subito i morbidi angoli di verde per non “sporcare” con gli specchi di Pirri il loro concerto. Yannis Xenakis con tre proposte su quattro la fa da leone. E meno male potremmo dire perché il lungo (troppo) finale con Strange Desires di Trevor Grahl, tra teatro sonoro e performance, non ci è parso molto convincente.
Ascoltare le opere di Xenakis sorprende sempre. Il compositore greco già dalla metà degli anni Cinquanta percorre un processo di ricerca estetica in piena rottura con la logica seriale. Usa su questa strada riflessioni non musicali, l’interazione con la matematica, l’informatica, il calcolo delle probabilità. La sorpresa sta nel fatto che le sue opere non risultano all’ascolto freddi calcoli a tavolino, dietro l’impalcatura teorico scientifica si svela un compositore che trasmette tensione emotiva e passionale. Già in Evyrali per piano solo tutto questo è evidente.
La composizione scorre su blocchi, segmenti ritmici marcati. L’alternanza dei volumi, dal fortissimo al quasi delicato, costruisce una trama, che come le onde del mare, la risacca, ti porta lontano poi di nuovo in un porto sicuro. Keren per trombone solo mette in risalto il virtuosismo di Kaptun ma evoca anche, attraverso il gioco dei registri estremi, sfumature, timbri contrastanti, armonici e rumori quella che viene definita la “polifonia virtuale”. Xenakis sviluppa mirabilmente questa prassi già presente nel periodo barocco: raggiungere l’effetto polifonico attraverso una partitura monodica. L’arte dell’illusione. Con Dikhtas per violino e pianoforte si raggiungono vette supreme. Il violino svolazza leggero mentre il pianoforte distende uno sfondo denso, dinamico e scuro. I due si incontrano raramente, quando succede sfiorano melodie fascinose. Ma le corde cercano sempre una via d’uscita con forza, il pianoforte agisce da piattaforma da dove si possono prendere i voli più avventurosi. Bellissimo.
Anche il FLAME, Florence Art Music Ensemble (Chiara Scucces flauto, Emilio Checchini clarinetto, Ilaria Lanzoni violino, Michele Marco Rossi violoncello, Luisa Valeria Carpignano pianoforte) sugli specchi, la sera dopo, se la cava bene. Formazione di giovani interpreti che sulla contemporaneità musicale sanno il fatto loro offrendo un viaggio intenso all’interno di una proposta variegata ed impegnativa. In apertura un sentito omaggio a Luigi Dallapiccola a quaranta anni dalla morte (Firenze 1975) con Tartiniana Seconda (1956) per violino e pianoforte. Un vero gioiello con il quale il compositore legge grandezza e attualità di Giuseppe Tartini suo conterraneo (Pirano d’Istria 1692) in quattro movimenti di una leggerezza, eleganza formale e suono irraggiungibili. Tra i primi musicisti italiani ad adottare il sistema dodecafonico, anche come strumento di indagine esistenziale, impegno civile, Dallapiccola con Tartiniana Seconda disegna un fugace ritorno alla tonalità non disdegnando però una mirabile, elettrizzante applicazione del contrappunto.
In punta (per flauto, clarinetto, violino, violoncello, pianoforte) di Zeno Baldi si apre su unisoni misteriosi che emergono da nebbie appena increspate da suoni lunghi, sibili lontani. Opera pervasa da un senso di incompiutezza che distribuisce tensione costante poi risolta in un finale sorprendentemente brioso. I Quattro pezzi op.5 per clarinetto e pianoforte di Alban Berg sono brevi schizzi astratti macchiati da struggenti lirismi, che proprio nella loro brevità, quella di un respiro, di uno sguardo fugace, trovano senso compiuto. I colori scuri e percussivi della tastiera nel finale prefigurano un dolce e sospeso tratto del clarinetto che si disperde.
Con Johannes Hildebrandt, l’autore al pianoforte, Annäherung per flauto e pianoforte si caratterizza per uno scenario dove l’uso delle corde con vibrazioni e riverberi crea grumi, isole di suono dove il flauto della Scucces, in un linguaggio sognante, a tratti nervoso, cerca approdi non facili. Si cambia completamente scenario con Dulce Refrigerium, opera del 1984 per pianoforte di Niccolò Castiglioni dove la Carpignano è alle prese con i preziosismi timbrici, cristallini, del compositore milanese. Lavoro coinvolgente dove un fedele post-weberniano ricerca sorpresa e bellezza attraverso percorsi dagli effetti inconsueti, con grappoli sonori e agglomerati accordali distribuiti con saggezza artigianale. Il violoncello di Rossi si confronta poi con Funf Turme di Gabriele Cosmi, composizione complessa che passa da un uso percussivo della tastiera ad accordi saturi, da suoni flebili a tensioni ritmiche. Chiude Features and Formations di Gwyn Pritchard per violino solo, flauto, clarinetto e violoncello, dove la Lanzoni gioca un ruolo decisivo dentro una musica densa ma agile nella sua stratificazione compositiva di grande spessore, costantemente aperta all’ interazione tra gli strumenti.
Insomma, nonostante i rischi per gli specchi frantumanti di Pirri, ma probabilmente anche grazie a questi, il cortile del Museo del Novecento ci ha rispecchiato uno scenario contemporaneo carico di bellezze e contraddizioni.
I tre musicisti, Bas Wiegers (violino), Koen Kaptun (trombone) Nora Mulder (pianoforte), vivono con leggerezza questa strana situazione ambientale, conquistano subito i morbidi angoli di verde per non “sporcare” con gli specchi di Pirri il loro concerto. Yannis Xenakis con tre proposte su quattro la fa da leone. E meno male potremmo dire perché il lungo (troppo) finale con Strange Desires di Trevor Grahl, tra teatro sonoro e performance, non ci è parso molto convincente.
Ascoltare le opere di Xenakis sorprende sempre. Il compositore greco già dalla metà degli anni Cinquanta percorre un processo di ricerca estetica in piena rottura con la logica seriale. Usa su questa strada riflessioni non musicali, l’interazione con la matematica, l’informatica, il calcolo delle probabilità. La sorpresa sta nel fatto che le sue opere non risultano all’ascolto freddi calcoli a tavolino, dietro l’impalcatura teorico scientifica si svela un compositore che trasmette tensione emotiva e passionale. Già in Evyrali per piano solo tutto questo è evidente.
La composizione scorre su blocchi, segmenti ritmici marcati. L’alternanza dei volumi, dal fortissimo al quasi delicato, costruisce una trama, che come le onde del mare, la risacca, ti porta lontano poi di nuovo in un porto sicuro. Keren per trombone solo mette in risalto il virtuosismo di Kaptun ma evoca anche, attraverso il gioco dei registri estremi, sfumature, timbri contrastanti, armonici e rumori quella che viene definita la “polifonia virtuale”. Xenakis sviluppa mirabilmente questa prassi già presente nel periodo barocco: raggiungere l’effetto polifonico attraverso una partitura monodica. L’arte dell’illusione. Con Dikhtas per violino e pianoforte si raggiungono vette supreme. Il violino svolazza leggero mentre il pianoforte distende uno sfondo denso, dinamico e scuro. I due si incontrano raramente, quando succede sfiorano melodie fascinose. Ma le corde cercano sempre una via d’uscita con forza, il pianoforte agisce da piattaforma da dove si possono prendere i voli più avventurosi. Bellissimo.
Anche il FLAME, Florence Art Music Ensemble (Chiara Scucces flauto, Emilio Checchini clarinetto, Ilaria Lanzoni violino, Michele Marco Rossi violoncello, Luisa Valeria Carpignano pianoforte) sugli specchi, la sera dopo, se la cava bene. Formazione di giovani interpreti che sulla contemporaneità musicale sanno il fatto loro offrendo un viaggio intenso all’interno di una proposta variegata ed impegnativa. In apertura un sentito omaggio a Luigi Dallapiccola a quaranta anni dalla morte (Firenze 1975) con Tartiniana Seconda (1956) per violino e pianoforte. Un vero gioiello con il quale il compositore legge grandezza e attualità di Giuseppe Tartini suo conterraneo (Pirano d’Istria 1692) in quattro movimenti di una leggerezza, eleganza formale e suono irraggiungibili. Tra i primi musicisti italiani ad adottare il sistema dodecafonico, anche come strumento di indagine esistenziale, impegno civile, Dallapiccola con Tartiniana Seconda disegna un fugace ritorno alla tonalità non disdegnando però una mirabile, elettrizzante applicazione del contrappunto.
In punta (per flauto, clarinetto, violino, violoncello, pianoforte) di Zeno Baldi si apre su unisoni misteriosi che emergono da nebbie appena increspate da suoni lunghi, sibili lontani. Opera pervasa da un senso di incompiutezza che distribuisce tensione costante poi risolta in un finale sorprendentemente brioso. I Quattro pezzi op.5 per clarinetto e pianoforte di Alban Berg sono brevi schizzi astratti macchiati da struggenti lirismi, che proprio nella loro brevità, quella di un respiro, di uno sguardo fugace, trovano senso compiuto. I colori scuri e percussivi della tastiera nel finale prefigurano un dolce e sospeso tratto del clarinetto che si disperde.
Con Johannes Hildebrandt, l’autore al pianoforte, Annäherung per flauto e pianoforte si caratterizza per uno scenario dove l’uso delle corde con vibrazioni e riverberi crea grumi, isole di suono dove il flauto della Scucces, in un linguaggio sognante, a tratti nervoso, cerca approdi non facili. Si cambia completamente scenario con Dulce Refrigerium, opera del 1984 per pianoforte di Niccolò Castiglioni dove la Carpignano è alle prese con i preziosismi timbrici, cristallini, del compositore milanese. Lavoro coinvolgente dove un fedele post-weberniano ricerca sorpresa e bellezza attraverso percorsi dagli effetti inconsueti, con grappoli sonori e agglomerati accordali distribuiti con saggezza artigianale. Il violoncello di Rossi si confronta poi con Funf Turme di Gabriele Cosmi, composizione complessa che passa da un uso percussivo della tastiera ad accordi saturi, da suoni flebili a tensioni ritmiche. Chiude Features and Formations di Gwyn Pritchard per violino solo, flauto, clarinetto e violoncello, dove la Lanzoni gioca un ruolo decisivo dentro una musica densa ma agile nella sua stratificazione compositiva di grande spessore, costantemente aperta all’ interazione tra gli strumenti.
Insomma, nonostante i rischi per gli specchi frantumanti di Pirri, ma probabilmente anche grazie a questi, il cortile del Museo del Novecento ci ha rispecchiato uno scenario contemporaneo carico di bellezze e contraddizioni.
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