Sognando il futuro dei Conservatori

A Palermo il Congresso dell’Association Européenne des Conservatoires

Recensione
classica
Ricerca e mobilità, ma anche interculturalità, flessibilità, governance e tecnologie sono stati i temi caldi del quarantesimo congresso e assemblea generale dell’Association Européenne des Conservatoires che ha festeggiato il suo sessantesimo compleanno al Conservatorio Bellini di Palermo tra il 7 e 9 novembre, con ben 280 delegati di scuole di musica principalmente europee, più una rappresentanza asiatica e americana. Un evento importante per una Palermo praticamente ancora estiva – un centro storico mobilitato e ripulito ad hoc (con tanto di chiusura al traffico) – che pare sia riuscita ad affascinare i suoi ospiti lanciando una bella sfida per la Liszt Academy of Music di Budapest che organizzerà il congresso il prossimo anno.

La “shopping list” delle tematiche era molto ricca: tra sedute plenarie e gruppi di lavoro è stato più che altro possibile fare un brainstorming dei temi guida da affrontare poi in “concertino” – per usare la metafora di Pascale de Groote, presidente dell’AEC – in opposizione al “ripieno” di questi giorni. Bernard Fouccroulle, professore di organo al Conservatorio di Bruxelles, ha tenuto a battesimo la prima seduta con un discorso appassionato che ha centrato il titolo del congresso “Valutare il passato, immaginare l’avvenire”. L’eredità e la creazione compositiva sono complementari sebbene oggi la seconda non abbia lo stesso posto della prima (una vecchia storia). Da compositore e direttore artistico del festival di Aix-en-Provence ha sottolineato l’importanza, troppo spesso sottovalutata, dell’esecuzione di musiche di compositori viventi, dell’improvvisazione e della tradizione orale. A questo si aggiunge il ruolo a torto marginale del pop, del jazz, e persino della early music nell’ambito dei programmi conservatoriali. E non sembra che in Italia siamo poi messi così male rispetto all’Europa! Le soluzioni proposte sono più che altro delle riflessioni sul sistema: cambiare l’immagine dell’artista che deve lavorare per la comunità, stimolare la partecipazione attiva del pubblico («ascoltare un pezzo è finire di scriverlo») e puntare sul dialogo interculturale. Quanto alla mobilità, dunque ai progetti Erasmus, arrivano invece delle risoluzioni di natura pratica: lavorare sull’equipollenza e convalida dei crediti formativi e creare una piattaforma (come quelle già riservate al pop, al jazz e alla early music) e un blog che raccolgano anche il punto di vista degli allievi.

La problematica della ricerca è stato però il nodo centrale: bisogna capire che tipo di formula attivare (sulla necessità di un ciclo post lauream non c’è alcun dubbio!), burocratica e artistica, che sia però più legata alla prassi, che giustifichi insomma la ricerca conservatoriale rispetto a quella accademica. Una tematica forte per cui nessuno possa gareggiare coi conservatori e che i musicologi devono accettare come qualcosa di importanza integrante. Una sfida dura per la lotta eterna tra le due istituzioni ma che, con sorpresa, non riguarda solo noi. Oltre a un catering ricchissimo anche solo per la pausa caffè (ma non eravamo in austerity?) e lo sfoggio di tanta architettura barocca delle chiese aperte per l’occasione, i momenti musicali hanno scandito il tempo di queste tre giornate sino alla fastosa cerimonia conclusiva al Teatro Massimo con l’Orchestra del Conservatorio Bellini diretta da Gaetano d’Espinosa, solisti Andrea Obiso e Simone Alaimo.

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