Curriculum sentimentale

Si possono segnalare i concerti del cuore?

Recensione
classica
Il curriculum vitae, la nota biografica che ognuno di noi musicisti allega al programma di sala, è - si sa - un veniale peccato di vanità. Un elenco più o meno dettagliato delle cose più importanti, dei traguardi più prestigiosi. Con sporadiche quanto involontarie cadute nel trionfalistico, o nel ridicolo. Ma, ad ogni modo, è un legittimo elencare le cose che possono interessare il nostro uditorio, e che in qualche modo certificano la nostra qualità, la nostra esperienza e il credito che ci è già stato accordato. Ci sono, però, dei concerti che non finiranno mai nel palmares, nel curriculum, ma che hanno o hanno avuto una notevole importanza nel nostro cammino di formazione musicale e umana. Se non considerassimo l'attività artistica semplicemente come una carriera, ma come una esperienza, un percorso, beh allora sarebbe bello, anche se forse di nessun interesse per il pubblico, poter scrivere una sorta di curriculum parallelo. Giorni fa ero a suonare alla Keller Hall dell'Università di Albuquerque, New Mexico. Un intero recital di musica italiana e americana e, il giorno dopo, tre brani di un bravo compositore americano il cui nome è pochissimo o punto noto al mondo musicale italiano, Morris Rosenzweig (allievo di Rochberg a Philadelphia, e attualmente docente di composizione a Salt Lake, in Utah). La sala non era gremita, come capita quasi sempre nei festival universitari, anche se nel pubblico c'erano persone a me molto care, e artisti e musicisti di cui ho grande stima. Ma, soprattutto, sono andato con la memoria al 2005, quando - per la prima volta in New Mexico e ad Albuquerque - avevo assistito ad un concerto proprio lì, in Keller Hall. Una bella sala, con un piano Steinway gran coda, un magnifico e simpatico ingegnere del suono - Manny, si chiama quasi come me - atmosfera cordiale. Allora ero tra i pochissimi spettatori (saremo stati una dozzina, al confronto il mio pubblico di qualche giorno fa sembrava quello del Madison Square Garden!), ma un programma strepitosamente interessante: un confronto fra due compositori nativi americani di generazioni distanti, Louis W Ballard, nato nel 1931 nella riserva Quapaw in Oklahoma, Raven Chacon, nato a Chinle, nella riserva Navajo, circa quarant'anni dopo. Il primo allievo di Milhaud, il secondo di James Tenney, il primo seguace di una atonalità espressionista con memorie tonali, il secondo totalmente immerso nel mondo della sperimentazione elettronica. Quel concerto fu per me rivelatore, e lì nacquero il mio interesse per la musica nativa e l'amicizia con Raven (Ballard lo conoscevo già). Che, dunque, su quel palcoscenico potessi esibirmi io, dopo otto anni, in una città che amo, e nello stato a me più caro (il New Mexico), è stata una vera emozione, come la chiusura di un cerchio di affetti, di sentimenti, che mi ha sorpreso e assieme commosso. Ballard non è più in questo mondo, anche se la sua presenza nella musica del Southwest è costante e forte, Raven era tra il pubblico. Era un concerto di modesta importanza per il curriculum, ma mi piaceva farne cenno. Anche come monito ai più giovani pianisti e musicisti in genere: non si perda di vista questa dimensione, nell'attività musicale, perchè alla fine è quella che ricorderemo con maggiore gratitudine, e peraltro serve a dare spessore e necessità all'altra, più prestigiosa e luccicante. Almeno così credo.

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