Partiture da riscoprire
Il 30 settembre a Rovereto il concerto degli intonarumori
Recensione
classica
Se dedichiamo ancora spazio agli strumenti che producevano ed intonavano rumori ormai cent’anni fa – considerato che il futurismo musicale occupa a fatica una paginetta nei manuali – una ragione c’è e permette a quest’improbabile orchestra di entrare, a pieno diritto, in un festival come TRANSART. Punto focale sono le dodici partiture contemporanee che verranno eseguite nel concerto di domani pomeriggio, nella piazzetta del Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto (Trento). Perché effettivamente, di partiture originali risalenti al primo ventennio del Novecento ne rimangono ben poche. Solamente poche battute composte da Russolo, tratte da “Risveglio di una città”, si sono salvate dalla totale distruzione. Queste, assieme alla sonorizzazione delle Parole in libertà (1916) del poeta e scrittore futurista Paolo Buzzi riscoperta da Chessa, apriranno e chiuderanno la performance del 30 settembre. Per il resto, sarà tutta musica del XXI secolo.
Ogni autore contemporaneo si è prodotto in una partitura non solo graficamente diversa (la fantasia nella notazione moderna è infinita ed inesauribile!) ma è anche andato alla ricerca di molteplici possibilità espressive. Lo so, sembrano solo tante belle speranze, ma in realtà queste scatole rumorose, seppure abbiano un meccanismo rudimentale, presentino un’accordatura approssimativa ed un’estensione limitata, nonostante l’incrementarsi del volume dipenda dall’impegno messo nel girare una manovella, possono ricreare situazioni espressive diverse. Così in New Acoustical Pleasures (A Furious Meow) di James Fei è il microcosmo della natura a parlare, con silenzi e timidi gesti, mentre in Kostnice di Mike Patton è tutta un’accozzaglia di teschi ed ossa, percussioni violente di una guerra macabra. Sia Pablo Ortiz sia Urlich Krieger fissano con precisione sul pentagramma le altezze dei suoni, ma dove la partitura del primo (Tango Futurista) appare come quella per un’orchestra normale, con pentagrammi, crome ed indicazioni di tempo, il secondo utilizza una notazione più illustrativa (Back to the future, California) con poche linee di riferimento ed una scansione del tempo in secondi. Pauline Oliveros lascia all’improvvisazione degli esecutori la sua Waking the intonarumori, dove in uno “score verbale preordinato con partitura aleatoria” (…precisione descrittiva di un professore dell’orchestra futurista!) ogni strumento apre gli occhi sulla sua rinascita moderna. Nick Hallet (Falcon Heene, Ascending) e Margareth Kammerer (Blues or Woman in the mind at night) sperimentano il mondo dei rumori attraverso l’incontro con la voce, e così fa anche Luciano Chessa nel suo L’acoustique ivresse. Il testo del brano, scritto da Buzzi nel 1920, descrive Russolo come una sorta d’incantatore/mago: «Luigi l’ululatore, l’oracolo del dio che t’ispira e ti renderà giustizia […] io ascolto quelle musiche uniche e vere, quelle che ascoltano i morti sopra le loro teste, sotto i loro piedi. La capitale futura si risveglia in un’esplosione che invita a balli mascherati di forza e di desiderio i cimiteri». Teho Teardo si esprime per fasce di suono costanti nella sua Oh!, mentre Blixa Bargeld, nella seconda parte del suo The Mantovani machine, declama una ricetta coi gamberetti ispirata alla cucina futurista, dosando con precisione ingredienti “rumorosi” (lo sapevate che Tommaso Marinetti voleva abolire la pastasciutta? …«assurda religione gastronomica italiana»). Tra le partiture studiate in questi giorni c’era anche un’opera di Sylvano Bussotti, che ieri ha raggiunto Bolzano per suonare lui stesso con l’orchestra futurista (il brano, Variazione Russolo, prevede la presenza del pianoforte e della voce, interpretata dal basso Nicholas Isherwood). La partitura è un collage di ritagli colorati, tra note e disegni del pittore fiorentino Ottone Rosai.
Cosa ne pensano i compositori di quest’operazione? Bussotti, seduto al pianoforte davanti al semicerchio degli intonarumori, ci racconta di essere stato colpito dalla tenerezza e dall’innocenza pura di questi strumenti; Teardo, ascoltata l’esecuzione del suo pezzo, ci ringrazia emozionato per il suono inatteso; mentre Ellen Fullman, autrice di Post Futurist Reverie, racconta in un’intervista con Chessa: «Mi è veramente piaciuto questo progetto. Amo l’assurdità di una produzione su larga scala – è uno sforzo serio e umoristico allo stesso tempo».
Ogni autore contemporaneo si è prodotto in una partitura non solo graficamente diversa (la fantasia nella notazione moderna è infinita ed inesauribile!) ma è anche andato alla ricerca di molteplici possibilità espressive. Lo so, sembrano solo tante belle speranze, ma in realtà queste scatole rumorose, seppure abbiano un meccanismo rudimentale, presentino un’accordatura approssimativa ed un’estensione limitata, nonostante l’incrementarsi del volume dipenda dall’impegno messo nel girare una manovella, possono ricreare situazioni espressive diverse. Così in New Acoustical Pleasures (A Furious Meow) di James Fei è il microcosmo della natura a parlare, con silenzi e timidi gesti, mentre in Kostnice di Mike Patton è tutta un’accozzaglia di teschi ed ossa, percussioni violente di una guerra macabra. Sia Pablo Ortiz sia Urlich Krieger fissano con precisione sul pentagramma le altezze dei suoni, ma dove la partitura del primo (Tango Futurista) appare come quella per un’orchestra normale, con pentagrammi, crome ed indicazioni di tempo, il secondo utilizza una notazione più illustrativa (Back to the future, California) con poche linee di riferimento ed una scansione del tempo in secondi. Pauline Oliveros lascia all’improvvisazione degli esecutori la sua Waking the intonarumori, dove in uno “score verbale preordinato con partitura aleatoria” (…precisione descrittiva di un professore dell’orchestra futurista!) ogni strumento apre gli occhi sulla sua rinascita moderna. Nick Hallet (Falcon Heene, Ascending) e Margareth Kammerer (Blues or Woman in the mind at night) sperimentano il mondo dei rumori attraverso l’incontro con la voce, e così fa anche Luciano Chessa nel suo L’acoustique ivresse. Il testo del brano, scritto da Buzzi nel 1920, descrive Russolo come una sorta d’incantatore/mago: «Luigi l’ululatore, l’oracolo del dio che t’ispira e ti renderà giustizia […] io ascolto quelle musiche uniche e vere, quelle che ascoltano i morti sopra le loro teste, sotto i loro piedi. La capitale futura si risveglia in un’esplosione che invita a balli mascherati di forza e di desiderio i cimiteri». Teho Teardo si esprime per fasce di suono costanti nella sua Oh!, mentre Blixa Bargeld, nella seconda parte del suo The Mantovani machine, declama una ricetta coi gamberetti ispirata alla cucina futurista, dosando con precisione ingredienti “rumorosi” (lo sapevate che Tommaso Marinetti voleva abolire la pastasciutta? …«assurda religione gastronomica italiana»). Tra le partiture studiate in questi giorni c’era anche un’opera di Sylvano Bussotti, che ieri ha raggiunto Bolzano per suonare lui stesso con l’orchestra futurista (il brano, Variazione Russolo, prevede la presenza del pianoforte e della voce, interpretata dal basso Nicholas Isherwood). La partitura è un collage di ritagli colorati, tra note e disegni del pittore fiorentino Ottone Rosai.
Cosa ne pensano i compositori di quest’operazione? Bussotti, seduto al pianoforte davanti al semicerchio degli intonarumori, ci racconta di essere stato colpito dalla tenerezza e dall’innocenza pura di questi strumenti; Teardo, ascoltata l’esecuzione del suo pezzo, ci ringrazia emozionato per il suono inatteso; mentre Ellen Fullman, autrice di Post Futurist Reverie, racconta in un’intervista con Chessa: «Mi è veramente piaciuto questo progetto. Amo l’assurdità di una produzione su larga scala – è uno sforzo serio e umoristico allo stesso tempo».
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