Dal 19 al 24 agosto si svolgerà ad Arezzo Il Polifonico, il concorso internazionale di canto corale organizzato dalla Fondazione Guido d’Arezzo.
Tutti gli eventi del programma della 73° edizione sono presenti sul suo sito, e si potranno seguire in streaming sul canale YouTube Il Polifonico dove sono presenti anche i video delle precedenti edizioni.
Le due interviste a Lorenzo Cinatti, direttore della Fondazione Guido d’Arezzo, e Alfredo Grandini, ci introducono nel caleidoscopio polifonico di questa manifestazione, della quale si parla anche nel podcast Early Music Stories #129 con le interviste a Luigi Marzola, direttore artistico del Polifonico, Walter Testolin direttore dell’ensemble De labyrintho e al musicologo Arnaldo Morelli.
Il Polifonico di Arezzo è una manifestazione piuttosto unica nel suo genere e forse non semplice da raccontare per chi non la conosce da vicino, data anche la sua lunga storia.
Lorenzo Cinatti «Certo, premetto che sono in carica da circa cinque anni e per fortuna invece la storia del Polifonico è molto più lunga. I suoi protagonisti hanno una memoria storica di ciò che è accaduto nei decenni e proprio in questi mesi ci stiamo occupando dell'archivio per una sistemazione definitiva.
Alcune testimonianze importanti mi hanno fatto rendere conto dell'importanza di questa manifestazione, da ogni punto di vista. È evidente che un concorso che nasce sostanzialmente negli anni Cinquanta, attraversa la storia e i costumi del Paese, e tra le cose più interessanti che mi hanno colpito quando me ne parlava l'ex nostro vicepresidente Alfredo Grandini, che è corista anche lui e partecipava già con i calzoni corti alle prime edizioni del Polifonico, è che nasce in un momento sostanzialmente di piena guerra fredda. Ma la manifestazione, come spesso succede per le attività artistiche, faceva da ponte anche al di là della Cortina di Ferro, perché spesso e volentieri venivano cori dalla Russia, dalla Jugoslavia ed era anche il modo di fare una sorta di Europa Unita ante litteram. O più che unita, di Europa che si parlava, perché, e qui c'è la straordinarietà secondo me simbolica di Arezzo, è che in questa città si incontrassero cori di diverse parti del mondo di paesi che politicamente spesso e volentieri si guardavano in cagnesco. Tutto questo nel nome di Guido d'Arezzo, che ha contribuito alla creazione di un linguaggio musicale universale.
Questo secondo me è il primo aspetto e poi chiaramente nel tempo le cose sono cambiate. La Cortina di Ferro è caduta relativamente in tempi brevi, ma per quasi trenta anni la manifestazione è stata un punto di riferimento in un mondo diviso in due. Guardando le fotografie ho pensato che sarebbe bello fare prima o poi una bella mostra con anche i manifesti del Polifonico. E poi c’è un’altra cosa che mi colpito delle edizioni dei primi due decenni, la partecipazione popolare.
Ho visto queste foto in bianco e nero della platea stipata di persone anche in piedi - oggi noi giustamente per le normative, possiamo solo metterle a sedere - e dai loro abiti ci si rende conto che c’era una partecipazione popolare, e non soltanto degli addetti ai lavori, e l’abbraccio della città era straordinario».
Questa partecipazione si è perduta nel corso del tempo?
L.C. «Non dico che si sia persa, ma il fenomeno riguarda un po' tutto lo spettacolo dal vivo, e oggi la comodità di stare sul divano a vedere tutto quello che le piattaforme offrono, far uscire le persone di casa è diventato più difficile. Ma questa caratteristica popolare e di appartenenza del Polifonico alla città di Arezzo, è rimasta. Questa sorta di olimpiade della coralità, per via anche della competizione del Concorso, è ancora molto vissuta.
Tra l'altro, io sono arrivato in un momento veramente difficile, subito dopo l’epidemia del Covid, e non c'era soltanto il problema di far tornare le persone nei teatri, ma quello di far viaggiare i gruppi, per cui la scommessa più grossa era di riuscire ad avere almeno una decina di cori da tutto il mondo. Dunque abbiamo lavorato bene, e avuto anche un po' di fortuna e oggi siamo ritornati, non dico agli irripetibili fasti del passato, ma negli ultimi tre anni abbiamo ospitato una decina di cori per ogni edizione, e anche di più, con una presenza in città più o meno stabile per alcuni giorni di circa cinquecento coristi.
Bisogna ricordare che anche in termini economici questo è un indotto importante per la città, e da questo punto di vista quello di Arezzo è riconosciuto come uno dei concorsi non solo più longevi, ma anche più prestigiosi, perché si vince, come si direbbe in Formula 1, un gran bel premio.
Per organizzare una cosa del genere le risorse non sono banali, c'è un apporto fondamentale del Ministero, perché riconosce che questa è un'eccellenza del paese portare ad Arezzo, in una città d'arte italiana, il fulcro della coralità mondiale. L’altro apporto importante è quello dell'amministrazione comunale, e lo sottolineo perché il concorso di Tour, che era uno dei più importanti insieme ad Arezzo, è stato chiuso perché l'amministrazione comunale ha deciso che se ne poteva fare a meno perché aveva altre priorità e una storia decennale e artistica e culturale è scomparsa in un battito di ciglia».

Immagino che questa lunghissima esperienza abbia creato nella cittadinanza di Arezzo una consapevolezza diffusa del valore del canto corale.
L.C. «Credo che ad Arezzo sia mediamente più alto l'apprezzamento del chiamiamolo bel canto che non è per forza polifonia, però per esempio abbiamo aperto un'altra attività che solo in parte è legata al Polifonico ma è comunque legata alla coralità. Si tratta di una sorta di piccola scuola completamente gratuita finanziata soltanto dalle aziende orafe di Arezzo con borse di studio per aspiranti cantanti spesso e volentieri già diplomati, per cercare di fargli capire come fare l'ultimo miglio tra quello che hanno studiato e il palcoscenico. Quest'anno abbiamo realizzato anche un Gianni Schicchi autoprodotto e spesso questi ragazzi hanno poi ricevuto scritture da altre parti.
In generale la quantità di cori infantili e di realtà musicali dedicate alla coralità è sicuramente notevole qui ad Arezzo, ricordando che non si sta parlando di una metropoli, ma di una città di circa centomila abitanti. C’è il Coro della Cattedrale, Vox Cordis, Kastalia, il coro della maestra Gianna Ghiori che ora ha aperto anche alle Manos Blancas. Tutto questo crea un ricambio di realtà corali che spesso partecipano ad altri concorsi nazionali o internazionali».
Questa manifestazione porta centinaia di persone, di cantori che per qualche giorno invadono Arezzo e immagino che tutto questo crei un'atmosfera piuttosto unica perché non credo che una tale concentrazione si trovi facilmente altrove.
L.C. «Premetto nuovamente che io sono qui da quasi cinque anni, e ho osservato come partecipano i vari cori. A volte è successo che passeggiando la sera dopo cena ad Arezzo incontri per esempio un coro tedesco che si mette a cantare fino alle due di notte in una piazza, perché giustamente ha apprezzato il prodotto locale [vino] e quindi ci dà giù di voce, ma questo non scatena la protesta immediata dei vicini. C’è un altro aspetto che riguarda i cori dell'Oriente, e ho notato che per esempio i filippini o gli indonesiani ci tenevano a indossare gli abiti tradizionali ed è uno spettacolo dentro lo spettacolo.
Credo che su questo aspetto, chiamiamolo popolare scenografico, si dovrebbe lavorare di più in modo che la cittadinanza avverta maggiormente la presenza di queste olimpiadi, magari anche attraverso una parata.
Ma il fatto che da qualche anno siano ospitati gruppi che provengono da manifestazioni analoghe in Europa, ha ulteriormente moltiplicato la visibilità e la dimensione internazionale del Polifonico».
Anche se non è la stessa cosa, le nuovo tecnologie consentono di seguire la manifestazione anche a distanza.
L.C. «Oggi i social da questo punto di vista ti danno la possibilità di far conoscere quello che stai facendo in maniera incredibile anche dal punto di vista folcloristico. Abbiamo dei buoni dati di visualizzazione online delle attività del Polifonico, e abbiamo la fortuna di avere un sindaco che è anche il presidente della Fondazione Guido d’Arezzo, che è molto sensibile nei confronti della cultura. Il Polifonico contribuisce alla valorizzazione della città e la promuove in un circuito internazionale a vari livelli».
Quali sono le prospettive delle prossime edizioni? Ci saranno variazioni o modifiche?
L.C. «Il direttore artistico Luigi Marzola si era espresso a favore di qualche variazione nei regolamenti e nei repertori ammessi a concorso, per favorire la partecipazione dei cori, e ampliare il ventaglio dei partecipanti magari intimoriti dal livello di formazioni più esperte.
Credo anche che da parte nostra sia necessario lavorare di più sulla festa. E sulla parte più popolare, ma voglio sottolineare la qualità del lavoro compiuto da Marzola che ha portato gran parte del Concorso dentro l'Auditorium Guido D'Arezzo. Questa struttura esisteva da tempo, ma l’abbiamo trasformata in un luogo nel quale godere della qualità dell’ascolto.
Non ultimo però in prospettiva nel 2027 noi saremo anche sede dello European Grand Prix for Choral Singing che a rotazione si svolge nelle città dei nostri partner internazionali, e sarà per noi l’occasione per realizzare una grande edizione e fare bella figura, e far diventare Il Polifonico le Olimpiadi della coralità».
L’importanza storica del Polifonico è ricordata e sottolineata anche da Alfredo Grandini.
Lei ha ricoperto vari ruoli nella Fondazione Guido d’Arezzo e ha scritto il libro Il Concorso polifonico di Arezzo dedicato al primo decennio della storia della manifestazione. Come è nata?
Alfredo Grandini «Non esistevano concorsi corali e nell’immediato dopoguerra quello di Arezzo fu praticamente il primo. La scintilla nacque durante un concerto nella chiesa di San Francesco, dove sono anche i famosi affreschi di Piero della Francesca, organizzato dalla neonata Associazione Amici della Musica, che era stata inattiva quasi per tutto il tempo del periodo fascista, e che venne ricostituita da un professore di storia dell'arte, raggruppando quella che era la crema della società aretina.
Partì subito con il piede giusto, anche grazie all’immediato appoggio politico di un personaggio allora insigne, che era Amintore Fanfani, aretino, presidente della Democrazia Cristiana, oltre che presidente del Consiglio per certi periodi.
Per cui fu facile organizzare un concorso ispirato proprio da questo concerto del Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che allora era diretto alla Bonaventura Somma, che poi sarà anche frequentemente nelle giurie. Rimasero tutti talmente colpiti dalla bellezza di quelle musiche, non ricordo il programma, ma penso che si trattasse di Monteverdi e Palestrina. L’idea proposta da Mario Salmi di organizzare ad Arezzo un concorso di gruppi corali italiani e stranieri, piacque immediatamente.
In che anno precisamente.
A.G. «Nel 1952. Il primo anno fu riservato solo ai cori italiani, ma dal 1953 in poi diventò internazionale, e cominciò a ricevere il sovvenzionamento del ministero. Nel momento storico in cui l'Europa era divisa dal muro di Berlino, la fortuna di questo concorso è che al di là della Cortina di Ferro tutti praticamente ci tenevano molto a dimostrare all’Occidente il loro valore nel sostenere la cultura all'Occidente, che magari di cultura se ne interessava meno.
Così iniziarono a mandare cori nazionali selezionati la Bulgaria, l’Ungheria, la Polonia, e via di seguito. Questa oltre che essere una questione di vanto per quei paesi, permetteva a chi faceva parte di questi cori di poter uscire e visitare un po' d'Occidente. Per cui era molto ambito, e avevano delle ferie più lunghe, permessi per partecipare alle prove, e altre facilitazioni.
Negli anni Sessanta cominciarono a frequentare il nostro concorso anche cori russi e cori americani. Quindi lei si immagini in città, e allora eravamo al tempo di Peppone e Don Camillo, per cui da una parte i comunisti e dall'altra i democristiani, a fare il tifo e a riempire il teatro, non tanto per le musiche di Palestrina o Monteverdi, ma per sostenere il valore della cultura delle loro teorie politiche.
Poi c’era la curiosità di vedere popoli, costumi, lingue e gente nuova girare per la città. In alcuni momenti parteciparono cinquanta cori, che vuol dire duemila persone, in una città che credo avesse allora circa 65.000 abitanti, non di più, peraltro in una città di provincia.
Dunque il successo della manifestazione non era dovuto solo a questioni musicali.
Il Concorso polifonico ebbe un grande successo e la partecipazione degli aretini era dovuta più a motivi di costume che di carattere musicale, ma ha proposto a livello internazionale autori che si conoscevano poco nell’ambiente dei cori come Scarlatti o Gesualdo da Venosa.
Credo che negli anni Sessanta, la renaissance di questi autori derivi proprio dal fatto che i brani imparati e cantati per il Concorso polifonico di Arezzo poi facevano il giro di tutti i gruppi corali in tutta Europa e in America Latina e questo ha contribuito a stimolare l’interesse nei confronti di questi autori. Subito dopo questi anni cominciarono le trascrizioni, per esempio, di molte opere di Scarlatti che ancora erano a livello di manoscritto nelle biblioteche di Arezzo. Quindi ecco come è nato il Concorso polifonico e anche perché ha avuto questo grande successo in città e fuori».
Un successo nazionale e internazionale.
A.G. «Si scomodava anche la stampa estera, e insieme ai cori spesso arrivavano giornalisti e ambasciatori. Nella seconda metà degli anni Cinquanta il concorso ebbe il privilegio di potersi fregiare dell'alto patronato del Presidente della Repubblica. Nel 1962 in occasione del decennale della Fondazione, si scomodò persino Antonio Segni, che venne in treno peraltro, oggi non succederebbe, con la famosa Flavia, la mitica Flavia, la macchina della Presidenza, che l'aspettava nel piazzale della stazione. Il Presidente ovviamente venne per il concorso polifonico, addirittura partecipò ai concerti e alla premiazione.
Quindi, immaginate un coro magari della Bulgaria o del Brasile che veniva premiato dal Presidente della Repubblica. Quindi, ecco anche da cosa deriva questa fama del Concorso».
Un successo crescente anche negli anni successivi.
A.G. «Il Concorso era rodato e continuò ad occuparsi dell'Est e dell'Ovest fino alla fine degli anni Ottanta. Poi con la caduta del muro di Berlino, chiaramente l'interesse per la partecipazione al concorso di Arezzo un pochino si affievolì, perché diminuiva l’interesse di quelle nazioni di dimostrare i propri valori culturali. Ma il Concorso polifonico aveva lavorato bene, perché in diversi paesi si cantavano musiche che erano state proposte nei primi decenni qui da noi».
Quindi la manifestazione è cresciuta a partire dalla sua fondazione fino agli anni Ottanta. Poi c’è stato un momento di crisi.
A.G. «Un momento di crisi negli anni Novanta poi superata, ma soprattutto di carattere economico, perché costava molto mantenere in città duemila persone per cinque, se o sette giorni, e l'organizzazione era molto complessa allora. Ma a quell’epoca venivano ospitati anche nei seminari e nei conventi, ma adesso, per carità, ognuno vuole la sua stanza singola, e quindi sono necessari gli alberghi…
Sulla scia del concorso polifonico di Arezzo ne erano nati altri, per esempio quello di Gorizia, e anche all'estero, ma hanno vissuto quasi la stessa parabola del nostro, e dagli anni Novanta è iniziata una flessione. Noi abbiamo avuto un rilancio nel 2000, e poi una piccola crisi dal 2010 in poi. Comunque so che questa crisi ha fatto chiudere altri concorsi internazionali».
Il concorso è riservato ai cosiddetti amatori, cioè non professionisti, anche se di alto livello...
A.G. «Sì, è sempre stato riservato ai cosiddetti amatori, con l'eccezione del fatto che quelli che venivano dall'Est, ho qualche dubbio, ma d'altronde bisognava fidarsi delle dichiarazioni che facevano loro, ed era scritto impiegato, operaio, eccetera.. In realtà noi sapevamo bene che un livello di cultura vocale come quello che presentavano molti cori dell'Est, difficilmente si poteva trovare fra gente che non avesse studiato in un conservatorio.
Ma c’è una curiosità. Alcuni coristi provenienti dalla zona teutonica, addirittura venivano in bicicletta. Potete immaginare cosa vuol dire fare tutti gli appennini da Vienna o dalla Germania? Incredibile. Quindi uno spirito particolare, una voglia di partecipare, e un clima forse irripetibile per certi versi.
Adesso l'interesse non è più lo stesso. Prima dipendeva anche da questioni di colore e di costume, e non specificatamente musicali, ma sotto questo punto di vista ora è anche più serio, perché si affrontano soltanto pagine musicali complesse, mentre in passato il repertorio popolare faceva da padrone.
Oggi a differenza dei primi decenni si esegue la polifonia del Cinquecento ma anche Mendelssohn o Debussy, spesso con ottimi livelli, anche da parte dei cori italiani».
Vedo anche composizioni originali di autori contemporanei, proposte dai vincitori.
A.G. «La musica contemporanea è molto eseguita nei nostri concorsi, anche se non tutti sono d’accordo su questo, perché preferirebbe valorizzare di più le pagine dei nostri classici.
Quest'anno lo facciamo perché è l'anno di Palestrina, ma di solito non è così perché su quattro brani, in genere tre sono di autori contemporanei o comunque del Novecento. Ma questo è un indirizzo che hanno un po' tutti i concorsi oggi e si va molto verso la musica corale contemporanea».
Sono i cori che commissionano nuove opere agli autori o ci sono compositori particolarmente interessati alla scrittura corale?
A.G. «Tutte e due le cose. Molti sono brani scritti apposta per i cori che hanno migliorato molto la loro qualità, e possono affrontare anche pagine difficili, come la musica contemporanea prevede, ma anche per il fatto che c'è proprio un interesse particolare per ciò che riguarda gli effetti vocali della scrittura musicale. Quegli effetti particolari che solo la voce può fare, non gli strumenti, e quindi probabilmente c'è questo interesse. Dunque diversi compositori, che prima non avrebbero mai pensato di scrivere per coro, ora lo fanno».
E questo è un merito anche del Polifonico di Arezzo,.
Sì, sicuramente, e penso che sia stato forse tra i primi a introdurre la musica contemporanea già dagli anni Sessanta. Ricordo un brano di Romano Pezzati, un compositore fiorentino che cantavo da ragazzo nel 1965, scritto apposta per il Coro Polifonico Francesco Corradini».
Tra le attività della Fondazione Guido d’Arezzo, c’è anche un concorso dedicato a nuove composizioni.
A.G. «E' una iniziativa a latere che non si svolge nei giorni del Polifonico, ma le composizioni selezionate dalla giuria vengono poi eseguite dai cori nel programma del Concorso l’anno successivo. Talvolta anche come brano d'obbligo per tutti i gruppi, e quindi anche per il compositore è importante avere poi un'esecuzione del proprio brano fatta da più cori».
Dunque se il suo libro dedicato al primo decennio del Concorso è di quattrocento pagine, per stilarne una storia completa ci vorrebbero più volumi.
A.G. «La mia intenzione era non tanto di fare una storia del Polifonico globale, ma di far capire come e quando è nato e mettere in risalto suoi meriti».