Bisanti, un italiano a Liegi

Intervista al direttore musicale dell’Opéra Royal de Wallonie-Liége

Giampaolo Bisanti (Foto J.Berger ORW)
Giampaolo Bisanti (Foto J.Berger ORW)
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Nei giorni del Concorso per Direttore d'Opera di Liegi abbiamo incontrato Giampaolo Bisanti, direttore musicale dell’Opéra Royal de Wallonie-Liége

Maestro Bisanti, perché tanto successo del Concorso per Direttore d’Opera di Liegi? 

«Abbiamo ricevuto più di duecento domande di partecipazione pur avendo limitato l’età a 31 anni, altrimenti probabilmente ne avremmo ricevuto altre centinaia in più ed io, passando notti intere ad analizzare i video, ho potuto scegliere 24 veri talenti. Io sono un grande estimatore dei giovani talenti. Oltre alla mia carriera, voglio occuparmi di loro, promuovere e sostenere i giovani direttori che lo meritano. Questi sono tutti ragazzi che hanno pochissima esperienza, sopratutto nel campo della lirica, c’è gente che non aveva mai diretto un’opera, nemmeno spezzoni, altri più d’esperienza anche se sempre ridotta, che qui hanno avuto la possibilità di mettersi realmente alla prova, con una vera orchestra, un coro e dei solisti, e davanti ad una giuria prestigiosissima».  

 

Questo concorso è innanzitutto un’esperienza speciale? 

«Rispetto alla mia generazione adesso il mondo va molto velocemente e tutto si è ristretto, non ci sono più gli enti che ci davano la possibilità di un mese di prove con i cantanti, quindi il giovane direttore non ha neanche la possibilità oggi di fare una vera e propria palestra, e dirigere l’opera lirica non è lo stesso che dirigere la sinfonica, ci sono le esigenze del palcoscenico, bisogna conoscere le voci, testarsi su certe soluzioni direttoriali che possono favorire o meno la voce, tutto questo a bisogno di tempo ed esperienza. Quindi questo concorso consente un’esperienza speciale e utilissima, al netto di come uno si qualifichi». 

 

Quindi in questi ultimi anni la preparazione di direttori d’opera è cambiata?

«Il giovane direttore d’orchestra oggi si trova davanti ad un gap: deve fare esperienza, ma non ha la possibilità di farla. Questo significa che ci sono molti talenti che restano da parte. Se per le nuove produzioni hai la possibilità di fare delle prove d’orchestra e molte prove di regia, per le riprese nei teatri di repertorio il direttore d’orchestra ha due giorni di regia, in sala incontra i cantanti, non incontra l’orchestra e il coro, va direttamente in recita. Adesso la situazione è difficile perché tanti giovani vogliono fare i direttori, d’opera sopratutto, ma le possibilità sono risicate. Ci sarebbe spazio, ma se non c’è una garanzia di qualità il direttore artistico sceglie chi ha la competenza di dirigere senza prove». 

 

E’ ancora vero che gli italiani hanno una marcia in più nel dirigere le opere italiane? 

«Se è chiaro che io non posso essere un wagneriano come lo può essere un tedesco, è anche vero che un tedesco non potrà essere un intimo conoscitore del Belcanto come lo  può essere un italiano. Il background territoriale e culturale è molto importante, però ci sono tanti italiani che dirigono molto bene il repertorio tedesco, ceco e russo e tantissimi stranieri che dirigono molto bene quello italiano, per esempio James Levine ha diretto Verdi come pochi». 

 

Esiste uno stile italiano nella direzione d’orchestra e in cosa consiste? 

«Secondo me si, il direttore d’opera italiano non deve essere metronomico ma deve essere molto chiaro nel gesto. Tanti anni fa, io ero ancora ragazzino,  Roberto Alagna mi disse: “bravissimo, sii sempre molto chiaro quando dirigi con un gesto preciso ma largo in modo che noi lo possiamo vedere bene”. E’ la tecnica direttoriale italiana che per il nostro repertorio è veramente efficace». 

 

Quali sono le qualità che l’hanno fatta chiamare a dirigere in tutto il mondo?

«Nel corso del mio apprendistato e della mia gavetta, ho saputo giocare bene le mie carte. Dresda, Berlino, Vienna, poi è arrivata La Scala, mi hanno chiamato perché hanno capito che ero un direttore preparato, affidabile, che poteva gestire un’opera in un teatro importante facendogli dormire sonni tranquilli, e allo stesso tempo con un talento che permette di attirare l’attenzione dell’orchestra che suona con te, e quindi dare anche un apporto personale. Io ho debuttato Falstaff a Vienna senza mai averlo diretto e senza prove».

 

Il suo obiettivo nella direzione dell’Orchestra di Liegi?

«Io ho cominciato qui da ospite nel 2017, poi è arrivato come direttore generale Stefano Pace e quando mi ha chiesto se volevo diventare il direttore musicale ho detto subito sì. Io  sono innamorato di questa orchestra da sempre, adesso è molto rinnovata perché nel corso degli ultimi anni abbiamo organizzato molti concorsi e io mi sono trovato quindi nella situazione molto bella di potere lavorare per dare il mio imprinting. Per un anno e mezzo ho lavorato con le diverse sezioni dell’orchestra sul suono, sull’insieme, sul vibrato, su tutto il repertorio. Questo lavoro ha portato l’orchestra all’attuale livello, riconosciuto da tutti, e mi ha dato grandi soddisfazioni. Non dirigo un numero più alto di opere, ma sono sempre presente per l’orchestra, sempre pronto ad ascoltare se ci sono problematiche o richieste. E adesso con Stefano Pace c’è questa nuova visione programmatica che mi permetterà di fare, da qui ai prossimi anni, tantissimo nuovo repertorio». 

 

Il grande successo del Tristano ad Isotta è stato un punto di svolta per lei e l’Opera di Liegi? 

«Mi è stato detto che dopo avere diretto quest’opera non sarei stato più lo stesso, ed è vero. Non solo in termini di muscolarità e di tenuta, è come dirigere due Traviata e mezzo con una tensione che deve essere sempre crescente. Perché se il direttore in Tristano allenta l’energia, tutto si allenta. Dopo Benvenuto Cellini di Berlioz a Dresda e dopo Tristano qui a Liegi posso dire di avere fatto una svolta, evidentemente dovrò continuare a studiare e a scavare questo repertorio. Per Liegi non è stato un salto facile, perché il pubblico era abituato ad un repertorio più tradizionale, ma abbiamo rischiato ed è una scommessa vinta, come dimostrano i tanti tutto esaurito. Nel futuro in questa teatro ci saranno ancora delle belle sorprese. Io voglio restare a Liegi il più possibile, andare a dirigere in grande teatri dove non sono ancora stato, e dopo Liegi avere ancora una direzione musicale dove trovarmi bene come qui». 

 

 

 

 

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