Un nuovo allestimento di Evgenij Onegin di Cajkovskij, che il Regio coproduce con Covent Garden e Opera Australia, andrà in scena a Torino dal 17 al 26 maggio con la regia di Kasper Holten, il regista danese "Director of the Opera" del Covent Garden. Sul podio c'è il direttore musicale Gianandrea Noseda, cantano Vasiilj Ladiuk, Svetla Vassilevea, Maksim Aksenov, Nino Surguladze, i costumi sono di Katrina Lindsay.
«Il poema di Puškin mi ha affascinato fin dall'adolescenza. E proprio per questo ho scelto di studiare il russo al Liceo: per poter essere in grado di leggerlo nella lingua originale» esordisce Holten. «Le sue parole sono meravigliose, forti e penetranti, c'è un tono molto particolare nel linguaggio e sono anche molto musicali. È sorprendente perchè le parole di Puškin avrebbero potuto essere utilizzate già come libretto invece di venir riscritte. Per un regista è necessario leggere Puškin per dare più colori ai caratteri dei personaggi e alla storia, l'ammirazione di Cajkovski per questo testo era enorme, ed è così palese che gioca un ruolo importante per l'opera. Cajkovski in un primo momento non pensava di poter rendere giustizia al poema trasformandolo in un'opera, e quando lo fece, volle assicurarsi di non annegare negli stereotipi operistici. Noi vogliamo cercare di essere fedeli alla sua idea, presentandolo in modo semplice e poetico e non lasciandolo annegare nei cliché sentimentali».
Lo spettacolo ha un allestimento tradizionale o è diventata una storia contemporanea?
«L'impostazione è di tipo tradizionale, i costumi assomigliano a quelli dell'epoca, anche se non sono affatto storicamente corretti. Ma spero che il nostro modo di raccontare la storia possa aprire la strada verso l'anima di Tatiana e Onegin, invece di rimanere solo a guardarli a debita distanza. E in questo modo spero che lo si possa sentire come contemporaneo: come se riconoscessimo immediatamente noi stessi e le cose per le quali lottare, non voglio che la produzione diventi pittoresca o che la bellezza possa soffocare tutto il dolore sepolto in questa opera. Io voglio che sia uno spettacolo non retorico, che possa offrire un'interpretazione forte di questi personaggi e di questa storia così famosa; ma sarà un'interpretazione rivoluzionaria più internamente che esteriormente. Non è una provocazione, ma il desiderio di rivelare quest'opera così bella ricordandoci cosa è veramente in gioco, come ci si sente veramente quando ci si trova in quelle situazioni».
Come possiamo definirla: una storia romantica? Il sogno di una adolescente? La storia di un amore impossibile?
«Penso che per molti versi si tratti di una storia di crescita. È la storia di come le cose sembrino allo stesso tempo selvagge, grandi, complicate e tuttavia molto semplici quando si è giovani e poi, quando si inizia a crescere, a soffrire, a imparare a proteggersi, la vita si fa più complicata e si è sempre più lontano dalla semplicità della giovinezza. Io non la definirei una storia romantica, ma piuttosto malinconica. Nella nostra produzione sarà soprattutto "una storia di memoria": come ci voltiamo a guardare indietro alla nostra vita, ai momenti in cui abbiamo fatto determinate scelte e il modo in cui ci hanno influenzato. C'è la malinconia di capire che la tua vita è diventata qualcosa che non è più possibile cambiare completamente, e che la vita ti è sfuggita tra le dita senza che tu te ne sia accorto. Quindi nella produzione ecco una serie di scene o immagini come se fossero colorate dalla memoria: i momenti decisivi della tua vita, hanno un colore e un sapore più forte della vita di tutti i giorni; oppure il modo in cui ti ricordi quali erano i tuoi sogni di una volta».
Chi è Onegin? Un dandy? Un uomo immaturo? Un uomo che non prova sentimenti?
«No. Onegin è solo giovane. E come tutti noi quando siamo giovani, vuole sembrare più sicuro e saperne più degli altri. Penso che Onegin e Tatiana siano veramente due anime gemelle, e questo è ciò che rende tragica la storia: essi riconoscono l'uno nell'altro una curiosità, un coraggio nell'esplorare la vita, e la vera tragedia è che nel terzo atto Tatiana - come dice lei - lo ama ancora. Ma non può farlo. La prima metà dell'opera è sulla crescita di Tatiana, la seconda metà è sulla crescita di Onegin. Ma non sopporterei che Onegin sembrasse un dandy arrogante del quale non ci interessa nulla nella prima metà dell'opera. È solo molto giovane. E come tutti noi, fa errori. Mi auguro che si possa realizzare una vera e propria identificazione con entrambi, Onegin e Tatiana, e che il pubblico si convinca davvero che sono fatti l'uno per l'altra, che sono innamorati. Se Onegin è solo un arrogante dandy, perché ci appassiona il resto della storia, e perché crediamo nell'amore di Tatiana per lui?».
La giovinezza di Onegin
Torino: intervista al regista Kasper Holten
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