A Monte Carlo la Primavera c'è
Printemps des Arts di Montecarlo nonostante la pandemia
Bisogna dare atto alla direzione artistica del Printemps des Arts di Montecarlo, nella persona di Marc Monnet, di un certo coraggio e determinazione nel presentare, in piena pandemia, una programmazione che, nella stagione di quest’anno, ha incentrato il fulcro della propria attenzione prevalentemente sulla produzione della “Scuola di Vienna”. E l’offerta che è stata proposta al pubblico dell’ultimo fine settimana di marzo ha avuto il merito di mettere a fuoco quegli aspetti più pionieristici, della produzione di un’avanguardia che, agli inizi del ‘900, in Schoenberg e Webern, non aveva ancora completamente scisso i legami con il mondo tardo romantico e con il wagnerismo o di un Berg che scommetteva sulla possibilità di conciliare il linguaggio dodecafonico con un’espressione intrisa di profondo lirismo.
In una maratona musicale di due giorni abbiamo potuto sentire opere quali, il Concerti per violino e orchestra di Alban Berg, i Cinque Pezzi per quartetto d'archi di Anton Webern e di Arnold Schoenberg, il poema sinfonico Pelléas et Mélisande, il Quartetto in re maggiore, il n. 2 in fa diesis minore op. 10 e il Sestetto Verklärte Nacht, Op.4, assieme alla presentazione in prima esecuzione di un quartetto commissionato al compositore francese Frédéric Durieux.
Una rassegna di brani attraverso la quale sono emersi, come la fotografia di un’epoca, momenti estremamente significativi, che rivelano il senso di un sofferto graduale distacco dal linguaggio musicale tardo romantico e che, nello stesso tempo, cercava di puntare coraggiosamente verso prospettive utopiche.
L’Orchestre Philarmonique de Monte-Carlo diretta dal suo direttore stabile, Kazuki Yamada, con il violino solista Tedi Papavrami, per l’apertura dell’appuntamento sinfonico di questa tornata del festival, nell’auditorio del Grimaldi Forum, hanno presentato una lettura particolarmente intensa del Concerto per violino “alla memoria di un angelo”, di Berg. Una lettura attenta alla densità delle articolazioni, dei diversi ‘luoghi’ in cui si sviluppa il divenire di questo concerto: da un attacco quasi sommesso, laconico il violino di Papavrami riesce a delineare un quadro interpretativo legato ad una visione quasi ‘poetica’ dell’assunto solistico. Non c’è sfoggio di virtuosismo, bensì una visione attenta e articolata degli scarti e dei vari climax dello sviluppo particolare di questa composizione, del 1935, che fu l’ultima del compositore austriaco.
Nel Pelléas et Mélisande Yamada ha dimostrato di saper definire con nettezza i contorni dei diversi episodi di questo lungo poema sinfonico, con un corposo organico orchestrale: buon cesello dei disegni strumentali, degli assiemi, in questo grande affresco schoenbergiano in cui si dipanano una serie intricata di connessioni. Con perizia il direttore giapponese ha così saputo mettere in risalto colori ‘tristaniani’ così come un marcato impulso ritmico.
Altrettanto ‘intensi’ i programmi dei due appuntamenti cameristici nel pomeriggio del giorno successivo nei suntuosi spazi, rispettivamente, del Museo Oceanografico, con il quartetto Tana, e della Salle Empire dell’Hôtel de Paris, con il quartetto Zemlinsky.
La composizione commissionata a Frédéric Durieux, Diario Ellittico, spicca per assenza e rinuncia totale a qualsiasi espressione melodica per presentare come una rassegna di possibilità espressive ‘alternative’ del discorso quarettistico: flussi e stratificazioni di scatti repentini, episodi dotati di densa ritmicità omofonica o di suoni di armonici, colpi d’arco sul ponticello, violenti pizzicati, di tanto in tanto cenni di ‘frasi’. Il quartetto Tana si fa interprete attento e scrupoloso della lettura di questa partitura, con un’attitudine che riesce ugualmente a porre in risalto l’estrema rapsodicità dei successivi Cinque Pezzi per quartetto d'archi di Webern, così come la densità delle articolazioni, con un piglio quasi beethoveniano, del Quartetto in re maggiore di Schoenberg.
A coronamento di questa sorta di maratona schoenbergiana, nell’ultimo appuntamento del weekend monegasco, il quartetto Zemlinsky, con la voce del soprano Anna Maria Pammer, si è presentato con una determinazione interpretativa ed un’incisività fatte di consumati gesti strumentali, mettendo in risalto tutta la forza e la dimensione utopica e visionaria delle prime produzioni del compositore austriaco, nel Quartetto n. 2 in fa diesis minore op. 10e, con il rinforzo del violoncello di Michak Kaňka e della viola di Josef Klusoñ, nel Sestetto Verklärte Nacht, Op.4: sonorità corpose, fraseggi densi di un respiro ‘sofferto’, grande rilievo e duttilità nell’articolazione delle dinamiche, proprie di un latente romanticismo.
Programmi ‘difficili’, di un repertorio che, con quasi un secolo di distanza, qualcuno ancora chiama “musica contemporanea”, ‘classici’ della storia musicale, accolti qui a Monte Carlo, con grande rispetto, da un pubblico numeroso (pur con i limiti del numero dei posti imposto dal distanziamento), con lunghi applausi e lunghe e ripetute chiamate degli interpreti
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Puccini Dance Circus Opera: l’Orchestra della Toscana celebra il centenario della morte del compositore lucchese fondendo musica, teatro-danza e acrobazie circensi
A Bologna si è conclusa con “La traviata” la trilogia verdiana prodotta dall’Orchestra Senzaspine: nitida direzione di Tommaso Ussardi e allestimento in stile “graphic novel” di Giovanni Dispenza.