Puccini e le eroine sul trapezio

Puccini Dance Circus Opera: l’Orchestra della Toscana celebra il centenario della morte del compositore lucchese fondendo musica, teatro-danza e acrobazie circensi

Puccini Dance Circus Opera (Foto ORT Marco Borrelli)
Puccini Dance Circus Opera (Foto ORT Marco Borrelli)
Recensione
classica
Firenze, Teatro Verdi
Puccini Dance Circus Opera
29 Novembre 2024

Spetta all’Orchestra della Toscana la palma dell’originalità in questi tempi di celebrazioni pucciniane, con Puccini Dance Circus Opera, lo spettacolo concepito da Caterina Mochi Sismondi (ideazione, regìa e coreografia) e frutto, oltreché di una coproduzione con il Teatro del Giglio di Lucca e il Regio di Parma, di una complessa interazione di linguaggi e contributi di artisti (compagnie blucinQue e blucinQue Nice, la compositrice Bea Zanin),  anzi, come vedremo, prevalentemente artiste. Spettacolo che era stata presentato quest’estate in forma ristretta a Roma, al Caracalla Festival, e a Firenze è invece stato proposto in forma maggiore e definitiva con l’apporto dell’Orchestra della Toscana diretta da Gianna Fratta.

   Cerchiamo di raccontarlo: il filo conduttore è un monologo-confessione in più parti di un Puccini visitato incessantemente nella sua mente dalle sue eroine (Manon, Mimì, Tosca, Butterfly, Liù) ma che si dichiara impotente a capirle fino in fondo. O forse, per capirle fino in fondo, ha avuto bisogno di ucciderle...  Nonostante i richiami dei musicologi seri o meglio seriosi, che giustamente dal loro punto di vista ci invitano a far attenzione a ben altro, il tema del rapporto di Puccini con l’universo femminile è troppo affascinante, per tutti noi, e per non indurre in tentazione una coreografa-drammaturga di oggi,  non da oggi interessata ad esplorare quell’universo, come ha fatto in precedenti lavori come Vertigine di Giulietta, Gelsomina Dreams (ispirato al personaggio di Fellini) e Effetto Marilyn.  

   L’originalità è un rischio e non diciamo che da queste mescolanze sia nato uno spettacolo perfetto. Ma sicuramente è ammaliante, e in molti momenti emozionante e ricco di lirismo,  vedere queste donne pucciniane, ben riconoscibili nei loro tratti e caratteri anche se qui non cantano: sono danzatrici-acrobate in sequenze che ce le mostrano danzare abbagliate dalla luce, appese a ganci, avvinte in corde e nodi,  altalenanti su alti trapezi, al tempo stesso eroine del rischio esistenziale e vittime di costrizioni, legate dalla loro stessa fragilità, dall’isolamento, dalla condanna, dalla fedeltà a se stesse e al loro amore.  

   Il commento musicale si svolge su più piani seguendo il filo del racconto. L’orchestra, validamente diretta da Gianna Fratta, vi inserisce ora squarci sinfonici (dalle Villi, da Manon Lescaut, dalla Butterfly) o per dir così para-sinfonici, come l’alba parigina  squisitamente evocata all’inizio del terzo quadro della Bohème. Il gioco d’incastri funziona bene,  ma è più debole quando propone versioni solo orchestrali di pezzi solistici come Un bel dì vedremo, Mi chiamano Mimì, Vissi d’arte, a maggior ragione Nessun dorma: qui si sente davvero che manca qualcosa, e che rimpiazzare questo qualcosa avrebbe forse richiesto un intervento meglio studiato della mera trasposizione della parte vocale agli strumenti. Ciò che ci è sembrato validissimo era il contributo della musica live ed elettronica della giovane compositrice Beatrice Zanin, che fondeva bene rielaborazioni di frammenti pucciniani in loop,  interventi di un trio d’archi  (Irene Dosio, Maria Sandu, Nadia Marino)  rielaboranti altri frammenti di Puccini e no (ci è sembrato di riconoscere suggestioni promananti dal Cantus per Benjamin Britten di Arvo Pärt e della Sarabanda della Simple Symphony dello stesso Britten),  in un crescendo techno-neoromantico che portava il percorso alla sua conclusione e che ci è sembrato fresco e ricco di energia. Il rischio dell’originalità è stato ripagato dai molti applausi durante e dopo lo spettacolo, con un successo finale notevole.

   Per varietà di apporti di linguaggi e conoscenze riteniamo che si tratti di un lavoro frutto di un’idea principale, quello dell’autrice, ma anche maturato in un lavoro di gruppo, per cui riteniamo doveroso nominare tutti gli artisti oltre ai già citati: Elisa Mutto, Sara Frediani, Marta Alba, Iolanda del Vecchio, Rocio Belen, Reyes Patricio, Michelangelo Merlanti (i performers), Ivan Ieri (voce in scena e rielaborazione testi), Francesco Oliveto (adattamento orchestrale), Massimo Vesco (luci), Andrea Ruta (fonica).

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