Un classico della regia barocca
Esecuzione vocale e strumentale di prestigio, nonostante una serie di scelte musicali non sempre condivisibili
Recensione
classica
Saltata la "prima" per l'ormai istituzionale sciopero dell'orchestra, il "Rinaldo" di Händel debutta a Milano in una pomeridiana fuori abbonamento agli Arcimboldi piena di giovani e bambini, suscitando pochi applausi in corso d'opera ma grande entusiasmo al suo termine. Si recupera del resto il celebre allestimento reggiano di Pier Luigi Pizzi, quello con i personaggi ridotti a statue fisse su piedistalli mossi da servi di scena visibili allo spettatore e scene lussureggianti che ancor oggi appagano l'occhio in una poetica barocca del meraviglioso ricreata attraverso l'ostentazione dell'artificio.
Ottavio Dantone, punto di riferimento ormai imprescindibile per l'Italia, da Monteverdi a Mozart, ne offre una versione "ad usum delphini", filologicamente alquanto disinvolta: mescola le due versioni autentiche di Händel (1711 e 1731), riduce gli atti da tre a due, sposta d'atto un'aria capitale come "Cara sposa" e tant'altre ne elimina, riducendo poi al minimo i già scarni recitativi fino ad abbreviare la partitura di oltre mezz'ora rispetto all'originale (non lunghissimo, del resto), il tutto senza alcuna avvertenza nel programma di sala, che annuncia invece in locandina la nuova edizione critica Bärenreiter e offre un libretto lontanissimo da quello cantato, fin nel numero dei personaggi (Eustazio scompare del tutto) e nella distribuzione canora (Goffredo tenore anziché mezzosoprano). Tutto si può fare, purché non si contravvenga alla logica drammaturgica: lasciare ad esempio Rinaldo "a bocca vuota" dopo che la maga gli ha rapito la sua bella, privandolo della prevista aria di dolore è una violenza gratuita alla logica del dramma per musica settecentesco. Quando vedremo Händel trattato con lo stesso rispetto di Mozart e Verdi?
Tempi perlopiù brillanti e serrati, e grande ricchezza timbrica in orchestra (arricchita da elementi dell'Accademia Bizantina). Direzione molto efficace, nel complesso, anche se ripetuti sono stati gli scollamenti ritimici col palcoscenico, specie nei passi vocalizzati, e scarsamente comprensibile è risultato il vezzoso gioco dei tempi in "Bel piacer".
Assai buona la prova delle tre donne, fra cui spicca Annick Massis, applauditissima nell'hit "Lascia ch'io pianga" per la purezza vocale; efficace, nei panni della maga Armida, Darina Takova (che pecca forse in qualche variante vocale troppo fantasiosa), mentre da Daniela Barcellona, vocalmente ineccepibile anche quale Rinaldo sia nel canto eroico che patetico, ci aspetteremmo come sempre qualche scintilla in più sul piano emozionale, come sapeva darcene nei primissimi anni di carriera. A un livello inferiore, per qualità vocale e precisione esecutiva, il tenore Tomislav Muzek e il basso Mark Steven Doss, le cui frequentazioni di Escamillo, Mefistofele e Amonasro mal si sposano con l'agilità händeliana.
Interpreti: Annick Massis, Darina Takova, Daniela Barcellona,Tomislav Muzek, Mark Steven Doss
Orchestra: Orchestra del Teatro alla Scala (con alcuni membri dell'Accademia Bizantina)
Direttore: Ottavio Dantone
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