Ludovico e Virginia
A Colonia l’Orlando di Händel tratta dall’Ariosto e l’Orlando di Virginia Woolf si fondono nel singolare allestimento firmato da Rafael Villalobos con Xavier Sabata protagonista
Lui, lei e l’altro. Tradotto: lei, lei e l’altra. Unisce idealmente due fra i più noti Orlandi della cultura europea il regista Rafael Villalobos nella sua versione scenica dell’opera di Händel, che è filiazione diretta del poema cavalleresco di Ludovico Ariosto, presentata all’Oper Köln nel suo allestimento del 2021 ripreso dal catalano Festival Castell de Peralada. L’altro Orlando è quello della britannica Virginia Woolf, ma del celebre romanzo Villalobos, più che la trama, riprende piuttosto le turbolente vicende sentimentali del triangolo amoroso che ebbe come vertici la stessa Woolf, la sua amante Vita Sackville-West e l’amante di quest’ultima Violet Trefusis. È noto che il sessualmente proteiforme Orlando del romanzo di Virginia Woolf è direttamente ispirato alla Sackville-West, un’aristocratica sposata a Sir Harold George Nicolson e madre di due figli, tanto che il maggiore dei due, Nigel, definì il romanzo come la più lunga e affascinante lettera d’amore mai scritta alla madre nella storia della letteratura.
Queste vicende vengono tradotte dal regista, non senza qualche inevitabile forzatura, nella trama dell’opera di Händel, che del resto gioca molto con una certa fluidità delle relazioni, cui contribuisce non poco il classico gioco di interpreti en travesti tipico del teatro barocco. E dunque Orlando ama Angelica, che gli fa credere di amarlo ma invece ama Medoro provocandone la follia; ai tre personaggi di ascendenza ariostesca, se ne aggiungono due inediti ma essenziali a dare movimento all’azione, cioè Dorinda, innamorata senza speranza di Medoro, e il mago Zoroastro, che funge da deus ex machina per dare una soluzione all’intreccio, riportando il protagonista alla ragione e in vita i due amanti già vittime della follia omicida di Orlando. Nel processo di rimappatura di Villalobos dell’intreccio originale, Orlando diventa l’alter ego letterario di Virginia Woolf/Dorinda invaghita di Sackville-West/Medoro che però ama Trefusis/Angelica. Sacrificata del tutto è invece la dimensione magica introdotta dal mago Zoroastro, che resta invisibile al pubblico fin quasi alla fine dello spettacolo, e dunque non rimane che l’amore protagonista assoluto di un’opera per molti versi innovativa rispetto agli standard händeliani ma che non si distingue per varietà di affetti.
Funzionale all’aggiornamento registico è la scena di Emanuele Sinisi immaginata come due grandi superfici triangolari (il triangolo, sì): quella inferiore contiene lo scrittoio della Woolf e pochi altri elementi mentre quella superiore, specchiante, si presta a qualche timido effetto prodotto soprattutto da qualche discreta immagine animata in video. Al rigore concettuale della scena, aggiungono una nota cromatica i costumi disegnati dallo stesso Villalobos, che seglie il giallo per Orlando, l’azzurro per Dorinda, verde per Medoro, rosso (ovviamente) per la focosa Angelica mentre Zoroastro è tutto di nero vestito quando finalmente appare in scena per risanare Orlando e consentire il consueto lieto fine (con buona pace di Virginia Woolf, per la quale la fine fu invece tutt’altro che lieta).
Piuttosto abili sono i cinque interpreti a reggere il gioco scenico in uno spettacolo decisamente avaro di effetti. Orlando è Xavier Sabata, voce non possente e interprete più adatto a incarnare la natura lirica che quella eroica del protagonista (alla quale, del resto, Händel riserva solo un paio di arie). Parimenti lirico è il carattere che emerge dal Medoro di Adriana Bastidas-Gamboa, che si confronta invece con l’Angelica di forte carattere anche vocale di Sabina Puértolas, già presente a Peralada come Sabata. Una bella sorpresa la fresca Dorinda di Maria Koroleva, giovane interprete dell’Opera Studio del teatro ma già vocalmente molto sicura e disinvolta sulla scena, mentre è più una conferma lo Zoroastro di Gianluca Buratto per la solida qualità vocale e di interprete. Sul podio della Gürzenich Orchester il direttore Rubén Dubrovsky firma una esecuzione accurata sul piano filologico, cui dà un contributo importante il basso continuo di Sören Leupold e Andreas Nachtsheim ai liuti e tiorbe e di Andreas Gilger al cembalo, ma non è troppo varia sul piano dei contrasti dinamici e dei colori. Poco filologici, invece, sono i tagli imposti alla partitura per ragioni puramente drammaturgiche.
Molti vuoti in sala già alla seconda recita, ma caldi applausi per tutti alla fine.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.