Leggersi in poltrona un libretto metastasiano è esperienza estetica di sommo godimento; vederlo rappresentato in teatro è poi occasione di tale rarità da rendere lo spettacolo già di per sé un evento; se poi questo non muore dopo due sere, ma diviene oggetto di giro teatrale fra piazze solo sulla carta considerate minori, è davvero segno che la storia del teatro d'opera in Italia sta cambiando fisionomia. Dopo il debutto a fine agosto in forma semiscenica, all'interno del "Pergolesi Spontini Festival", ecco lo spettacolo già apprezzato in quella sede partire per una lunga tournée fra i teatri emiliani, con un doppio cast parzialmente rinnovato e di grande interesse. Nella prima compagnia che abbiamo ascoltato al debutto ravennate, è più o meno apprezzabile la prestazione di tutti gli interpreti vocali, con punte di grande interesse nelle quattro protagoniste Gemma Bertagnolli e Rosanna Savoia nei ruoli femminili, Anna Bonitatibus e Patrizia Biccirè in quelli dei loro amanti, cui va aggiunta la prova superba offerta da Sonia Prina in una parte purtroppo secondaria. L'Accademia Bizantina conferma la sua grande professionalità sotto la guida di Ottavio Dantone, che siede anche al cembalo per i recitativi: posizionati all'altezza della platea, gli strumenti in bella vista (secondo l'uso settecentesco) danno ottima prova di sé, con gli archi che rinunciano finalmente ai suoni troppo fissi che per tanti anni sono stati il Diktat dei complessi con strumenti originali, e gli ottoni che non scrocchiano una sola volta in tutta la serata. Gli interpreti s'avvalgono della nuova edizione critica di Francesco Degrada e Claudio Toscani, ma la fiducia nel testo di Pergolesi, come sempre avviene in questi casi, è evidentemente limitata: si abolisce una manciata di arie e soprattutto si sfoltiscono pesantemente i recitativi, pur base fondante del dramma per musica settecentesco. Tanta sfiducia ci viene purtroppo anche dalla regia di Italo Nunziata, che cerca a tutti i costi amor di varietà rinunciando però agli spunti già offerti dallo stesso libretto. La mutazione delle scene all'interno di un atto non è in fatti in questi casi un elemento opzionale e neppure ha un vero valore visivo, quanto drammaturgico: il cambio d'ambientazione costituisce infatti l'unica forma di macrosegmentazione consentita a questo genere di spettacolo, in cui ogni segmento delineato dall'ambientazione costituisce un'unità narrativa ben studiata; vanificarla con l'approntamento di una scena fissa per l'intero spettacolo significa bloccare quel minimo di decorso degli eventi progettato dal Metastasio. Come avviene spesso in siffatte occasioni, il regista ha invece amplificato un elemento del dramma, facendone l'immagine portante dello spettacolo. Qui, manco a dirlo, il suggerimento gli viene dall'Olimpiade del titolo, un evento lasciato sempre sullo sfondo dall'autore, ma posto in primo pianto da questo allestimento, richiamandosi ai giochi olimpici in ogni arredo scenico (più i giochi moderni, comunque, che quelli antichi: il giavellotto, il tiro a segno, il salto in alto, ma anche la pallavolo e i tuffi dal trampolino). A ciò si aggiungono i movimenti coreografici disegnati da Micha van Hoecke per raddoppiare visivamente le "smanie" della musica nei ritornelli strumentali delle arie: un artificio, quello dei mimi impegnati in ingombranti controscene, di cui sembra non si possa più oggi fare a meno nel teatro serio settecentesco, ben spesso a discapito della concentrazione d'ascolto. Lo spettacolo, a parte queste ultime riserve, va comunque assolutamente visto e inseguito nelle sue prossime repliche: quando capiterà un'altra occasione? Non certo fra quattro anni...
Note: Nuovo allestimento e prima riproposizione in epoca moderna nella versione critica . Coproduzione del Teatro Alighieri di Ravenna, Teatro Comunale di Modena, Teatro Municipale di Piacenza, I Teatri di Reggio Emilia in collaborazione col Pergolesi-Spontini Festival
Interpreti: Clistene: Stefano Ferrari; Aristea: Gemma Bertagnolli; Argene: Rosanna Savoia; Licida: Anna Bonitatibus; Megacle: Patrizia Bicciré; Aminta: Mark Milhofer; Alcandro: Sonia Prina
Regia: Italo Nunziata
Scene: Edoardo Sanchi
Costumi: Ruggero Vitrani
Corpo di Ballo: Ensemble di Micha van Hoecke
Coreografo: Micha van Hoecke
Orchestra: Accademia Bizantina
Direttore: Direttore e maestro al cembalo: Ottavio Dantone