Per una volta, il pubblico londinese non ha nascosto i propri sentimenti, e alla fine del primo atto di "Aida" una voce si è levata sopra tutte le altre: "Impiccate il regista!". La pena capitale è forse eccessiva per crimini teatrali, e sicuramente la nuova produzione di Robert Wilson non merita tanto, ma anche in Inghilterra l'opera riesce ad accendere gli spiriti. Un altro lavoro forse non avrebbe suscitato reazioni tanto estreme, ma "Aida" è un caso particolare: i biglietti erano già introvabili alla fine dell'estate, e l'attesa sembra essere stata brutalmente tradita dalla mancanza di elefanti o sfingi in una produzione scarna, minimalista. L'elemento più importante per Wilson sono le luci, che delineano lo spazio e l'azione: scene spoglie diventano una tela per questo regista, architetto, pittore, designer e attore, con risultati di grande teatralità. Wilson confessa di "ascoltare attraverso le luci", ma forse il teatro d'opera non è il posto adatto. Ha anche dichiarato che i cantanti sono i peggiori attori, ancorati in concetti di fine Ottocento, e per questo ha deciso di produrre opere. Perché cimentarsi con una forma che sembra non capire o amare rimane un mistero: influenzato dal teatro Nô, muove i personaggi come pupazzi ieratici, e confonde la gestualità con la recitazione. I cantanti sono costretti in una gestualità innaturale, e la performance vocale ne soffre; lo spettacolo diventa spigoloso, nelle scene lineari, nei movimenti gestuali, nelle traettorie diagonali attraverso un palcoscenico vuoto, e questo si riflette nel risultato sonoro. I personaggi non si toccano mai, cantano senza guardarsi, e questo senso di isolamento si trasferisce alle linee vocali, che non si fondono: anche il coro, allineato lungo i lati del palcoscenico, non riesce a produrre un suono integrato.
In queste condizioni è difficile apprezzare i protagonisti: Norma Fantini è una Aida forse vocalmente troppo lieve, Johan Botha un Radames efficiente ma dal fraseggio incostante. Ildiko Komlosi ruba la scena come Amneris, ma la migliore performance vocale è quella di Carlo Colombara nel ruolo di Ramfis, mentre l'Amonasro di Mark Doss non può non sollevare dei dubbi. Antonio Pappano dirige con grande liberalità ed efficaci contrasti dinamici, ma anche la sua lettura diventa a volte angolare, e la palette di colori orchestrali è limitata. Insomma, Londra ha finalmente avuto un assaggio di Robert Wilson, regista culto del Ventesimo secolo: l'anno è il 2003, è ora di girare pagina.
Interpreti: Il re, Graeme Broadbent; Amneris, Ildiko Komlosi; Aida, Norma Fantini; Radames, Johan Botha; Ramfis, Carlo Colombara; Amonasro, Mark Doss; Messaggero, James Edwards; Sacerdotessa, Victoria Nava
Regia: Robert Wilson
Scene: Robert Wilson
Costumi: Jacques Reynaud
Orchestra: Orchestra della Royal Opera House
Direttore: Antonio Pappano
Coro: Coro della Royal Opera House