Weber ritorna alla Scala
Der Freischütz di Carl Maria von Weber diretto da Myung-Whun Chung
L'opera di Carl Maria von Weber torna alla Scala dopo diciannove anni in una nuova produzione autoctona, con Myung-Whun Chung sul podio. Impeccabile la direzione, ben assecondata dall'orchestra che ne ha seguito lo slancio calibrando sempre gli effetti, in primis gli ottoni qui a rischio perché spesso allo scoperto. Il risultato è stato più che convincente. Il cast di ottimo livello: Julia Kleiter ha offerto una tenera Agathe dalla voce limpidissima con al suo fianco Eva Liebau che ha dato ad Ännchen ironia e verve mirabili, il Kaspar un po' gigioneggiante di Günther Groissböck ha fatto da mattatore con prestanza vocale e fisica, anche se Michael König pur correttissimo non mostrato di avere l'emissione sufficiente per un eroico Max. Insomma musicalmente tutto ha funzionato.
La regia di Matthias Hartmann, che aveva annunciato una rappresentazione psicanalistica della Gola del Lupo, attribuendola alle turbe di Max non a un luogo da favola, ha in realtà firmato una messa in scena molto tradizionale, con calibratissimi movimenti del coro e dei cantanti. I disordini mentali del protagonista si riducono a dei simpatici mostriciattoli attinti da Hieronymus Bosch (un nano con una carriola piena di teschi, un testone con gambette, ecc.), che compaiono già nel primo atto e gironzolano sul palco fino alla fine. Abolito quindi per coerenza il segno di croce al termine del patto diabolico, un vero gesto da baro che nel libretto garantirà la salvezza sua e di Agathe. Anche il canonico lieto fine è modificato, perché la coppia che dovrebbe attendere un anno per coronare il sogno d'amore, lo realizza all'istante scappando dal villaggio addirittura coi fucili in pugno, in barba all'Eremita che aveva sancito mai più tiri di prova dei cacciatori e alla sentanza di Ottokar. La stantia lotta fra il bene e il male è risolta da un atto di ribellione a entrambi.
Le scene ideate da Raimund Orfeo Voigt si valgono della presenza costante di giganteschi tronchi d'albero neri, quasi fossilizati, che creano un'atmosfera plumbea, in contrasto con dei tubi al neon che disegnano come un pennarello di luce i profili delle montagne, una casa del villaggio, l'interno dell'abitazione di Agathe con le cornici appese nel vuoto, la chiesa dell'ultimo atto. La vera sorpresa dello spettacolo l'hanno riservata tuttavia i costumi disegnati da Susanne Bisovsky e Josef Gerger, bellissimi, visionari e coloratissimi, quelli della protagonista di grande eleganza, spiritosi quelli di Ännchen. Se i personaggi maschili sono imbalsamati nelle loro tradizioni, tutti i femminili appaiono in fogge davvero imprevedibili, dai trionfi di fiori sulla testa allo smodato fiocco da uovo di Pasqua di Ännchen.
Al termine molti applausi per tutti, con Myung-Whun Chung in proscenio che, per ringraziare alcuni solisti dell'orchestra invisibili perché in buca, mimava il gesto di chi suona il violoncello, il flauto e via di seguito.
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