Vivere per tre secoli: che fatica!

Grazie all'allestimento di Carsen, grande successo per la "prima" veneziana di Makropulos

Recensione
classica
Gran Teatro La Fenice Venezia
Leos Janacek
15 Marzo 2013
Dando una scorsa alla lista degli allestimenti di opere di Janácek alla Fenice (solo sei dal 1941 a oggi) si direbbe che il rapporto tra il compositore ceco e il pubblico veneziano sia ancora - tardivamente - tutto da costruire. Un ottimo contributo potrebbe arrivare da questo intenso "Vec Makropulos" che fa parte di un ciclo che a Strasburgo Carsen sta dedicando a Janácek. I quasi cent'anni che ci ha messo l'opera a venire finalmente rappresentata in laguna richiamano un po' i quasi cent'anni di durata della causa Gregor-Prus da cui prende il via tutta la vicenda della misteriosa cantante Emilia Marty, donna condannata a vivere per oltre trecento anni e quindi a non provare più emozioni. Carsen allestisce uno spettacolo di altissimo profilo, segnato dall'intuizione di intrecciare le vicende della cantante con la prima di Turandot (che debuttò nello stesso anno, il 1926), splendidamente e progressivamente "disallestita" durante il secondo atto. Ma tutta l'opera è un gioco sottile di teatro dentro il teatro, suggerita già dalla giostra dei cambi d'abito durante l'ouverture. "Finalmente un bel film!" ho sentito dire da qualcuno nel foyer durante l'intervallo. E al di là della battuta non c'è dubbio che l'efficacia narrativa della musica di Janácek, unita alla pregnante evocatività di Carsen, tenga avvinta la platea fino al doloroso, ma forse liberatorio, epilogo. Opera tutta sulle spalle della sprezzante e tormentata protagonista Emilia Marty/Elina Makropulos: ottima Angeles Blanca Gulin a suggerire in modo scintillante le sottili sfumature del personaggio, aprendosi al calore dell'altra sua alter ego, Eugenia Montez, riconosciuta dall'ex amante Hauk. Bravi anche gli altri interpreti, così come Gabriele Ferro, esperto e mai banale sul podio. Applausi meritati per tutti.

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