Vanessa, an american solitude

Il Massimo di Palermo rispolvera "Vanessa", dramma delle solitudini di Samuel Barber assente dall'Italia dal 1961. Un affresco senza tempo dedicato alle contraddizioni della società americana del dopoguerra.

Recensione
classica
Teatro Massimo Palermo
Samuel Barber
12 Maggio 2006
Anche "Vanessa", drammone delle solitudini ultimato dal tandem Samuel Barber – Giancarlo Menotti nel 1957, pone il dilemma che ricorre tutte le volte che si parla di Barber e del suo stile: musica anacronistica ma indiscutibilmente moderna, legata alla tradizione europea ma lontana dai suoi contorcimenti dissolutori, e soprattutto lontana da quei tratti della tradizione nera che il linguaggio musicale americano del tempo aveva assorbito se non storicizzato. Anche in questa vasta e aristocratica partitura, ricca di leggiadrie orchestrali degne di Puccini e di complessità che non fanno invidia a Strauss, dell'America musicale del '57 – anno di nascita di West Side Story di Bernstein e della suite orchestrale da Porgy and Bess firmata da Miles Davis e Gil Evans – non c'è la minima eco. Eppure, come testimonia il successo di pubblico (non di critica) che salutò la prima del gennaio '58 in quel tempio del conservatorismo che è il Metropolitan di New York, si tratta comunque di un'opera non meno americana dello stesso capolavoro di Bernstein suo coetaneo, ma che al contrario di questo fa leva su contraddizioni e decadenze di quell'american way of life figlio del puritanesimo e del nazionalismo, lo stesso che prima della guerra diede via libera all'offensiva proibizionista, e dopo trovò riferimenti ideali nel maccartismo e vago conforto negli affresconi sentimentali hollywoodiani. Proprio come, mutatis mutandis, potrebbe tranquillamente essere "Vanessa", opera che al suo debutto incassò un premio Pulitzer e venne immortalata su disco dalla Rca. Tre anni dopo, riveduta e asciugata dallo stesso Barber, passò dal festival di Spoleto. Dall'Italia mancava da allora, e il Massimo di Palermo ha deciso di riprenderla con un allestimento onesto ed essenziale e un buon cast vocale).

Interpreti: Vanessa ? Jeanne Michèle Charbonnet/Brenda Harris [13, 16, 18], Erika ? Brigitte Pinter/Kremena Dilcheva [13, 16, 18], The old baroness ? Agnes Zwierko, Anatol ? Gerard Powers / Marcel Reijans [13, 16, 18], The old doctor ? Fabio Previati/David Wakeham [13, 16, 18], Nicholas ? Ercole Mario Bertolino, A footman ? Gianfranco Giordano/Cosimo Diano [13, 16, 18]

Regia: Cesare Lievi

Scene: Maurizio Balò

Costumi: Maurizio Balò

Coreografo: Giuseppe Della Monica

Orchestra: Orchestra del Teatro Massimo di Palermo

Direttore: Jan Latham-Koenig

Coro: Coro del Teatro Massimo di Palermo

Maestro Coro: Paolo Vero

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento

classica

Napoli: Dvorak apre il San Carlo

classica

Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.