La regia immaginata da Arnaud Bernard per I Capuleti e Montecchi, in scena alla Fenice, rivela un taglio decisamente antiromantico che confligge con la tragicità e passionalità dell'opera belliniana. Si produce così una sorta di spaesamento e distacco critico pseudobrechtiano che consente all'ascoltatore moderno di prendere le distanze da ogni facile sentimentalismo per cogliere ciò che si pone a fondamento della vicenda tratteggiata da Felice Romani nel suo libretto, costruito su fonti drammatiche italiane e francesi. Emerge così come alla radice dello storico dissidio tra le due fazioni vi sia, aldilà della faida familiare, un complesso di convenzioni falsanti che imprigiona e spezza l'anima dei personaggi, dilaniati interiormente da opposte passioni. Il movimento scenico assume a tratti una fissità inquietante, simile a quella dei quadri viventi, generando un effetto estraniante che si placa solo nelle ultime due scene della parte IV, ove l'amore s’intreccia con la morte, su uno sfondo desolato. Nonostante qualche rigidità, lo spaesamento contrasta efficacemente con il caldo lirismo che anima la lettura di Omen Meir Wellber e contribuisce a svelare l'essenza di una partitura dall’orchestrazione agile e timbricamente raffinata. La voce brilla come protagonista assoluta grazie alla seducente Jessica Pratt, Giulietta angelicata e vellutata anche nelle fioriture più acute, e all'appassionata Sonia Ganassi, Romeo en travesti. Convincenti le prove di Rubén Amoretti (Capellio) e Luca Dall’Amico (Lorenzo); meno a fuoco il Tebaldo di Shalva Mukeria, appannato da una vocalità un po’ forzata e da una presenza scenica a tratti innaturale. Wellber guida con eleganza coro e orchestra veneziani, nonostante qualche asincronia e sbilanciamento di concertazione. Ampio successo.
Note: nuovo allestimento coprodotto dal Teatro La Fenice con la Fondazione Arena di Verona, che l’ha presentato nel novembre 2013 al Teatro Filarmonico, e con l’Opera Nazionale Ellenica di Atene