Una Fanciulla tra West e Western

Puccini alla Scala con la direzione di Chailly e la regia di Carsen

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Giacomo Puccini
03 Maggio 2016
Questa edizione della Fanciulla del West è una sorta di doppio ritorno alle origini. Alla partitura originaria di Puccini, liberata dalle manomissioni di Toscanini per la prima del 1910 al Metropolitan, e alla epopea del cinema western. Il progetto di Chailly di ripristinare i tagli ed eliminare i rinforzi in organico, pare dettati dall'acustica della sala newyorkese, è stato in parte intralciato dalla faringite che ha colpito la protagonista Eva-Maria Westbroek, sostituita all'ultimo dall'olandese Barbara Haveman (se l'è cavata decorosamente, anche se il personaggio è rimasto di maniera); di qui la rinuncia al duetto del soprano con l'indiano nel primo atto. In compenso l'orchestra ha seguito alla lettera le indicazioni di Chailly, dando a tutta l'esecuzione una straordinaria limpidezza, leggerezza e coerente equilibrio. Davvero un bel ascoltare. Se il migliore degli interpreti è stato Roberto Aronica nelle vesti di Dick Johnson, per sicurezza di voce e gestualità, Claudio Sgura è parso troppo compiaciuto della sua presenza scenica, tanto da fare di Jack Rance un manichino ingessato. D'altra parte il povero sceriffo non ha la tempra malefica di Scarpia. Mai come in questa occasione Robert Carsen s'è divertito a mescolare i generi e a raddoppiare le immagini in palcoscenico. L'opera inizia con la proiezione di un film, l'ultima sequenza di My Darling Clementine di John Ford (per noi italiani è "Sfida infernale") dove Henry Fonda bacia la bella e poi se ne va a cavallo. Dopo di che gli spettatori in palcoscenico, quasi entrassero nello schermo, si trasformano nei minatori dell'opera. Un gioco che Carsen aveva già messo in atto nella sua regia di Singin'in the Rain allo Châtelet il dicembre scorso. Il secondo atto invece è tutto in bianco e nero e cita una situazione del film muto di Victor Sjöström, The Wind. Mentre nel terzo c'è una ripresa in diretta del volto dello sceriffo su grande schermo (perché non gli è stata messa sul bavero la stella di prammatica?), poi la proiezione di una masnada di cowboys all'inseguimento e nel finale un diventente coup de théâtre. Il bosco pronto per l'impiccagione di Dick lascia il posto alla facciata di un teatro anni Venti, stile Broadway, dove sta per andare in scena la pièce di David Belasco The Girl of the Golden West (da cui è tratto il libretto dell'opera di Puccini) o viene proiettato il film omonimo di Cecil DeMille. Dalla folla davanti al botteghino escono i due protagonisti, Minnie vestita da diva con stola e Dick impomatato con cappotto di cammello. Dopo di che il coro degli ex minatori, ora diventati spettatori borghesi, sulle ultime note entra in sala a godersi lo spettacolo. Il ping pong fra opera e cinema riesce alla perfezione. Al termine della serata, grandi appluasi per tutti, specie per Chailly, con qualcuno che per un istante contesta il regista, senza averne capito l'elegante e rispettoso motto di spirito.

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