Un teatralissimo Turco

Milano: successo alla Scala per l'opera di Rossini con la regia di Roberto Andò

Il Turco in Italia (Foto Brescia Amisano)
Il Turco in Italia (Foto Brescia Amisano)
Recensione
classica
Teatro alla Scala, Milano
Il Turco in Italia
22 Febbraio 2020

Alla Scala Il turco in Italia è nata più di duecento anni fa (agosto 1814, tre mesi dopo il crollo del Regno Italico e l'entrata degli Austriaci a Milano), ma con scarso successo perché l'opera fu accusata d'essere una copia dell'Italiana in Algeri. Ci sono voluti Gianandrea Gavazzeni, Maria Callas e Franco Zeffirelli per renderle giustizia nel 1954 (con riprese nel '57 e '58 senza la Diva); ne è seguita poi un'altra ingiustificabile sparizione dalla scena lirica milanese fino al 1997, grazie a Riccardo Chailly sul podio e la regia di Giancarlo Cobelli. C'è quindi da rallegrarsi di questa nuova edizione affidata alla direzione di Diego Fasolis, con la regia di Roberto Andò, le scene di Gianni Carluccio e i costumi di Nanà Cecchi. Ne è nato uno spettacolo di rara eleganza, arguto, con una recitazione curatissima, che arricchisce di continui  ammiccamenti il gioco dell'opera nell'opera sostenuto dal poeta-librettista Prosdocimo. Come per esempio all'entrata delle fanciulle napoletane agghindate da meravigliosi abiti pastello, quando la civetta Fiorilla si sente messa da parte e si precipita da Prosdocimo pretendendo maggiore visibilità per il suo personaggio. Anche Selim si lamenta con lui, non pago d'essere stato annunciato da un veliero fantasmatico degno dell'Olandese Volante (proiettato sul fondale dai video di Luca Scarzella, insieme a una incessante mareggiata) coi marinai che cantano "Voga voga" sulla cellula di don Giovanni "Ma farò quel che potrò" all'apparizione del Commendatore. Tutti i personaggi entrano in scena da botole o su scivoli, come materializzati dalla fantasia del librettista, che ora s'ispira alla realtà, ora inventa situazioni, anche se spesso vien preso di contropiede. Come quando ordina una sedia per soccorrere Zaida che non sviene affatto alla vista dell'amato, contravvenendo alle regole drammaturgiche. Oppure quando non capisce perché una dormeuse adatta a Paolina Borghese si ostini ad andare avanti e indietro sul palco. Il vero coup di théâtre avviene però sulle ultime battute, Prosdocimo distribuisce il testo del lieto fine che tutti cantano diligentemente, ma poi appallottano i fogli e glieli lanciano addosso perché troppi sono gli strascichi di amarezza e i rimpianti che si lascia appresso questa illusoria opera buffa. Fa testo l'aria finale di Fiorilla, "Squallida veste e bruna", vero cameo drammatico, che la bravissima Rosa Feola ha affrontato con estrema disinvoltura dopo aver fatto per due atti la fraschetta, dando prova di vocalità e presenza scenica di gran classe. Meritatissimi i lunghissimi applausi dopo questo drammatico exploit. Ai suoi fianchi il virulento e spiritoso Selim di Alex Esposito e l'elegante Geronio di Giulio Mastrototaro, che Andò porta anche in platea quasi a conversare con gli spettatori, prima di affrontare l'arduo scilinguagnolo dei parrucchini, cappellini, pretesi dalla moglie infedele. Un buffo solo in apparenza, in realtà dolente e angustiato. In platea scende anche Prosdocimo (Mattia Olivieri) anche per godersi un folle numero di Albazar (lo scatenato e spiritoso Manuel Amati) che canta egregiamente sul dio d'amore e balla come in uno sketch d'avanspettacolo. Mentre Laura Verrecchia (una tormentata e intensa Zaira) e il bravo Edgardo Rocha (Narciso) sono chiusi nei loro personaggi, tanto che il librettista in certi momenti non ne può più del belcanto del tenore. Insomma si ha la sensazione che Andò si sia proprio divertito a mettere in scena Il turco, tra l'altro va a suo merito l'aver risolto la complicata scena del ballo in maschera, facendo indossare a tutti lo stesso costume e scombinando definitivamente le carte. 

In tutto questo ricercato fuoco di fila, la direzione di Fasolis è parsa tuttavia spesso troppo greve e affannata, nonostante il controllo assoluto delle voci messe sempre a loro agio. Così non è stato con l'orchestra che è risultata talvolta sbilanciata e poco trasparente. A fine serata grandi ovazioni per tutti, anche per il direttore del coro Bruno Casoni.

P.s. Per il momento non si sa quanto si svolgeranno le altre recite dato che per le conseguenze del diffondersi del Coronavirus i teatri lombardi saranno chiusi.

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