Un raro oratorio di Giovanni Bononcini

“San Nicola di Bari” eseguito a Roma, dove nel 1692 aveva avuto la prima esecuzione assoluta

San Nicola di Bari
San Nicola di Bari
Recensione
classica
Refettorio del Convento di Trinità dei Monti, Roma
San Nicola di Bari
17 Dicembre 2024

Giovanni Bononcini non aveva ancora compiuto ventidue anni e già era un compositore in folgorante ascesa, quando – era la quaresima del 1692 - fu eseguito a Roma il suo oratorio “San Nicola di Bari”, ripreso negli anni seguenti in altre città italiane e anche a Vienna, cosa allora tutt’altro che frequente. Bononcini era stato precocissimo: a soli quindici anni aveva pubblicato tre raccolte a stampa, era diventato membro dell’Accademia de’ Filarmonici di Bologna e maestro di cappella di San Giovanni in Monte. Nel 1690 si trasferì a Roma e il successo di cinque sue opere nella città dei papi gli assicurò la fama internazionale. La sua carriera, trascurando alcune tappe di breve durata, lo portò a Vienna, Londra, nuovamente Roma, Parigi, Lisbona, Madrid, ancora Roma e infine Vienna, dove morì all’allora rispettabilissima età di settantasette anni. Dunque per più di mezzo secolo fu un protagonista dell’Europa musicale. Ma oggi, nonostante la grande voga della musica barocca, capita raramente di ascoltare qualche sua composizione e dunque non si poteva perdere il ritorno di “San Nicola di Bari” nella città dove aveva avuto la prima esecuzione. Lo ha presentato il Roma Festival Barocco, riproponendo sostanzialmente l’edizione già ascoltata lo scorso maggio a Parma. 

“San Nicola di Bari” fu scritto negli anni in cui l’oratorio si avvicinava sempre più alla struttura musicale dell’opera, pur mantenendo una maggiore elasticità. Si susseguono recitativi e arie, ma in quel periodo le arie sono ancora piuttosto brevi e non sempre col da capo. I pezzi d’insieme sono rarissimi: in questo caso c’è un solo breve duetto, usato come un finale sfavillante di vorticosi virtuosismi. È totalmente assente il coro, che era stato un protagonista degli oratori delle origini. L’orchestra è ancora embrionale: primo e secondo violino, viola e basso continuo, qui realizzato da tiorba e cembalo, più il violoncello, che talvolta si stacca dal basso continuo per impegnarsi in bellissime parti concertanti, perché alla prima lo suonava Bononcini stesso, ottimo violoncellista. 

Quanto all’argomento, non vengono celebrati i miracoli del santo di turno e ci si sofferma invece su un altro topos della vita dei santi, cioè il momento in cui l’adolescente Nicola decide d’intraprendere il suo percorso religioso, respingendo le tentazioni e i piaceri del mondo, a cui lo esorta invece l’amico Clizio: questo riduce drasticamente le dosi di dolciastra devozione di tanti altri oratori. Insomma ci sono tutte le precondizioni per ascoltare un’ora e un quarto circa di musica affascinante, senza lungaggini e punti morti. 

Bononcini sfrutta benissimo l’occasione. I rapidi recitativi, anche se accompagnati dal basso continuo, non sono né semplici né secchi, ma incisivi, mossi, drammatici. Le arie sono varie, energiche, sintetiche, incisive e s’intrecciano ad un’armonia non puramente funzionale ma spesso portatrice di espressività. Non ci sono i sospiri, le tenerezze e le pastorellerie, che Bononcini stesso avrebbe introdotto in seguito nella sua musica, in linea con le tendenze del nuovo secolo. La coloratura può essere talvolta molto fitta ma non raggiunge i vertici dell’epoca del Senesino, Farinelli e compagni e non è fine a se stessa ma contribuisce a dare forza e carattere alla melodia: ne va dato atto anche agli interpreti, che ovviamente non si limitano ad eseguire quel che è scritto e aggiungono con ricchezza ma senza stravolgere.

I due protagonisti, Nicola e Clizio, erano affidati a due eccellenti interpreti di questo repertorio. Nicola era il soprano Federico Fiorio, di cui in altre occasioni si è già apprezzata la voce pura, limpida e dolce, unita all’ottimo stile. Questa volta è venuta in evidenza anche la sicurezza tecnica con cui affronta colorature molto spinte, senza però scivolare nell’esibizione fine a se stessa. L’amico-rivale Clizio era il controtenore Filippo Mineccia, di cui è perfino superfluo tessere nuovamente gli elogi: ha confermato le sue ragguardevoli doti virtuosistiche e ha offerto un’interpretazione di bel vigore, d’altronde il piacere e il peccato risultano in musica più teatrali e meno evanescenti della virtù. Il soprano Giuseppina Sala era Giovanna, madre di Nicola, cui ha dato voce realmente materna, ovvero dolce, luminosa, affettuosa. Nella parte di Epifanio, padre di Nicola, il basso Marco Saccardin ha mostrato una bella autorevolezza senza bisogno di scurire innaturalmente la sua voce ben impostata e ben timbrata. Francesco Luigi Trevisano sedeva al cembalo e dirigeva il piccolo ensemble dell’Accademia Musicale Emiliana. 

Il pubblico ha applaudito con grande calore, richiamando più volte gli interpreti sul piccolo palco montato nel Refettorio del Convento di Trinità dei Monti.

 

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