Un architetto per Rossini
La brillante regia di Micheletto di La scala di seta non assecondata dall'esecuzione
Recensione
classica
Nata nel 2009 al Festival rossiniano, dopo aver traslocato in molti teatri, arriva alla sala del Piermarini "La scala di seta" con la regia di Damiano Michieletto. Anche se adattata a un palcoscenico ben più ampio del piccolo Teatro Rossini di Pesaro, la bella scenografia non pare soffrirne troppo. L'idea è di grande impatto visivo, la pianta dell'appartamento di Giulia è proiettata sul fondale in modo che i cantanti siano visti in diretta dall'alto. Non solo, durante l'ouverture, la casa appare completamente vuota e agli ordini di un architetto isterico viene arredata sui ritmi della partitura, rispettando pure le pause con divententi tableaux vivants. In scena si vede ogni cosa, la scalata notturna alla finestra, i personaggi nascosti nella stanza da letto o dietro i mobili, pareti e porte esistono soltanto per i cantanti. La verve della regia purtroppo va a impantanarsi in una direzione musicale non all'altezza. Christophe Rousset, pur attento concertatore, è quanto di più lontano dalla carica beffarda di Rossini, né viene assecondato dalla orchestra dell'Accademia Teatro alla Scala, che è inciampata in più punti. Tra l'altro con un organico ridotto che ha penalizzato il volume del violini che spesso faticavano a spandersi in sala. Anche i giovani interpreti facevano parte dell'Accademia, tutti volonterosi, ma che avrebbero avuto bisogno d'essere trascinati da una lettura più brillante. L'unico tra loro di grande esperienza era Paolo Bordogna, già nei panni di uno scatenato Germano nell'edizione pesarese.
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