Tutti colori di Don Carlo

Al Covent Garden con Betrand de Billy sul podio

Recensione
classica
Royal Opera House (ROH) Londra
Giuseppe Verdi
12 Maggio 2017
Torna al Covent Garden il Don Carlo di Giuseppe Verdi, questa volta nella versione in cinque atti del 1886, l'ultima di quelle italiane e forse la più somigliante al lavoro di Schiller. Il capolavoro verdiano, che a Londra negli ultimi anni è stato un titolo peregrino - questo il suo terzo revival dopo il debutto nel 2008 per la celebrazione del centocinquantesimo anniversario della Royal Opera House diretto ovviamente da Pappano, poi l'anno successivo diretto da Semyon Bychkov e ripreso ancora una volta nel 2013 da Pappano con il tenore Kaufmann - è una coproduzione con l'Opera Nazionale Norvegese e il Metropolitan di New York, con un' elegantissima regia di Nicholas Hytner e con la direzione del francese Bertrand de Billy. Gesto assolutamente sobrio, ma sempre dispensato con esatto controllo sia in buca che alle voci, il direttore domina il Don Carlo con perizia intelligente, sonorità caratterizzante, pregnante. L'interpretazione di de Billy disegna una mappa, dal bosco innevato allo studio di Filippo II, entro la quale il suono dell'orchestra affiora, lievita, ci commuove. Timbro caldo, con rintocchi dei corni, fino a squarci da groppo in gola nel duetto tra Don Carlo, l'americano Bryan Hymel, e Rodrigo, il tedesco Christoph Pohl. Quasi sempre applausi a scena aperta. Emozionanti i momenti con coro massiccio e i potenti sipari finali degli atti, che Verdi cesella, intrecciati con le voci come pagine riflessive dell'individuo e della comunità. Elisabetta si trova infreddolita nella foresta quando Don Carlo la raccoglie nel suo innamoramento - interpretato con totale immedesimazione da Kristin Lewis, una fenomenale Elisabetta di Valois, pragmatica più che sensuale in un primo atto spedito, come si richiede, illusione del sogno di libertà, libertà di coscienza, quale bene più alto dell'umanità. Anche la toccante principessa Eboli Ekaterina Semenchuk, ideale nello spirito della tragedia, ma soprattutto di intonazione e fraseggio cullanti come nella danza dei veli, rappresenta per il re ma anche per se stessa il dramma d'una esistenza senza amore. Filippo II, Ildar Abdrazakov, canta bene subito severo e ben deciso a raddrizzare i sogni del giovane Carlo. Solitamente lo vediamo così con contrasti inconciliabili nell'anima e pennellate antieroiche tipicamente verdiane. Il basso italiano Andrea Mastroni, Carlo V, perfetto nel carattere sempre severo a ribadire il fondamento della tragedia padre figlio e la stretta prigione della ragion di stato. Sparigliati i problemi oggettivi della complessità del dramma lungo i cinque atti, la drammaturgia appunto non sorprende ma sostanzialmente funziona. La regia è per tutto convenzionale, con nero e chiaroscuri dominanti, l'atmosfera sempre sinistra e pericolosa, in particolare nella scena con il grande inquisitore Paata Burchuladze, ma ovunque alte pareti nere con griglie dalle quali far penetrare occasionalmente la luce e i colori, perfino nella scena del chiostro. Il senso di oppressione viene valicato solo nel terzo atto, nella piazza, che così risulta anche il più lento, spezzando il ritmo. Con molti applausi e traboccante come una festa, la ROH ha accolto queste quasi quattro ore di un passato eroico mai recuperabile.

Interpreti: Don Carlo Bryan Hymel, Tebaldo Emily Edmonds, Elizabeth of Valois Kristin Lewis, Count of Lerma David Junghoon Kim, Countess of Aremberg Rosalind Waters, Carlos V Andrea Mastroni, Rodrigo Marquis of Posa Christoph Pohl, Philip II Ildar Abdrazakov, Princess Eboli Ekaterina Semenchuk, Priest inquisitor Josh Davis, voice from the heaven Francesca Chiejina, Grand inquisitor Paat Burchuladze

Regia: Nicholas Hytner

Scene: Bob Crowley

Orchestra: Royal Opera House

Direttore: Bertrand De Billy

Coro: Royal Opera House

Maestro Coro: William Spaulding

Luci: Mark Henderson

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