Troppa semiotica per Orlando

Un'occasione mancata per la nuova produzione di Francisco Negrin alla Royal Opera House, ma una promessa di successi futuri per la collaborazione con l'Orchestra of the Age of Enlightenment e per l'Angelica di Barbara Bonney e la Dorinda di Camilla Tilling

Recensione
classica
Royal Opera House (ROH) Londra
Georg Friedrich Haendel
06 Ottobre 2003
La Royal Opera House non è stata molto fortunata ultimamente con le sue produzioni di Haendel: una Alcina agli inizi degli anni '90 era sparita senza lasciare traccia, un Giulio Cesare messo in scena al Barbican durante i lavori di rinnovamento del Covent Garden era stato fatto a pezzi nonostante un eccellente cast vocale che includeva Ann Murray, David Daniels e Brian Asawa, ovvero il meglio del meglio della vocalità handeliana contemporanea, ed ora questo Orlando. Il lavoro non è tra i più conosciuti, ed è abbastanza strano che non abbia avuto un ruolo più importante nel fenomeno di riscoperta del repertorio barocco, perchè si tratta sicuramente di una delle partiture più 'sperimentali' e drammaticamente integrate di Haendel. Il libretto, riadattato da quello ariosteo de L'Orlando di Sigismondo Capece, introduce il personaggio del mago Zoroastro, una figura simile al Prospero shakespeariano, che per proteggere Orlando dalle conseguenze della follia amorosa lo guida in una serie di vicende che coinvolgono Angelica, Medoro e la pastorella Dorinda, ma che si rivelano alla fine essere solo illusioni. La storia era sostanzialmente un pretesto per favolosi effetti speciali ed improvvisi cambi di scena, accompagnati tuttavia da una narrativa estremamente coerente e da alcune delle più belle pagine haendeliane, che sfruttavano una orchestra di considerevoli dimensioni e ricca di colore (la partitura richiede tra l'altro l'uso di 'violette marine' (uno strumento probabilmente simile alla viola d'amore). Haendel 'gioca' con la rigida struttura dell'opera seria, e la allarga, contraddice, rinnova, tutto nel nome del'impatto drammatico: e quasi non sorprende scoprire che il lavoro ebbe solo dieci esecuzioni durante la vita del compositore. Un lavoro di questo genere sembra tuttavia fatto apposta per il teatro d'opera contemporaneo, affamato di musica barocca ma allergico alla presunta staticità del da capo, e sembra quindi un peccato che la nuova produzione del messicano Francisco Negrin si riveli sostanzialmente un'occasione mancata. Le scene di Anthony Baker, un labirinto rotante di stanze, porte e specchi che alla fine si rivela una realtà virtuale costruita da Zoroastro all'interno di un palazzo incantato non aiutano una narrativa che non ha alcuna direzione e che non sa sfruttare il testo musico-drammatico. Negrin fa continuo riferimento all'eclettica semiotica dell'opera barocca contemporanea, ma senza motivazioni profonde: anche l'utilizzo di danzatori, appropriato in Alcina ed Ariodante, diventa un inutile diversivo. Un'altro problema di base di Orlando sono le voci: il ruolo principale era stato scritto per Senesino, sostanzialmente un contralto, con una vocalità ed una estensione ben diversa dal castrato Carestini, il soprano per cui Haendel scrive i successivi ruoli di Ruggero ed Ariodante, su cui Alice Coote ha costruito il suo profilo di 'travesti'. Ma Orlando è troppo basso, e Coote, la cui voce fiorisce nel registro più acuto, si ritrova a dover usare una voce di petto non troppo risonante per la maggior parte del tempo, ed il suo uso del testo non rende giustizia ai recitativi accompagnati scritti per uno dei più grandi attori-cantanti del diciottesimo secolo. Sembra poi che un'opera barocca non sia credibile senza un controtenore, e quindi Bejun Mehta si ritrova a cantare un ruolo, quello di Medoro, originariamente scritto per una donna, Francesca Bertolli: una scelta poco giustificata e certo non scusata da una esecuzione piatta, sillabica e monovocalica, in cui andanti larghetti diventano gravi molto lenti. Barbara Bonney è estremamente convincente nei panni di Angelica (una Alcina in fieri), ed il basso ancora acerbo di Jonathan Lemalu efficente in quelli di Zoroastro, ma la serata vocalmente appartiene alla deliziosa Dorinda di Camilla Tilling, il cui tono dolce e intenso è accompagnato da una personalita drammatica che si rivela una boccata d'aria fresca nell'atmosfera piatta creata da Negrin. Non c'è invece piattezza nell'esecuzione dell'Orchestra of the Age of Enlightenment, al suo debutto al Covent Garden: la bellezza del suono prodotto da questo ensemble di solisti, qui diretti da Harry Bickett, è pari solo alla loro naturale relazione con linguaggio barocco.

Interpreti: Alice Coote, Barbara Bonney, Bejun Mehta, Camilla Tilling, Jonathan Lemalu

Regia: Francisco Negrin

Orchestra: Orchestra della Royal Opera House

Direttore: Harry Bicket

Coro: Coro della Royal Opera House

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