Trieste e i rimpianti franco-giuseppini
inserite qui il testo in breve
Recensione
classica
D'estate, quando sulla maggior parte dei grandi teatri di tradizione cala il sipario, Trieste sfoggia il fiore all'occhiello del suo indiscusso primato: la stagione internazionale dell'operetta. Teatro e musica si fondono e riuniscono i più prestigiosi nomi nazionali e stranieri di questo genere. Ammirata e mai superata, inconfondibile nel gusto, nello stile di una lunghissima tradizione e nel sostegno del suo fedelissimo pubblico, Trieste rimane sempre prima. Quest'anno la scelta dello spettacolo inaugurale è caduta sullo "Zingaro barone", il capolavoro di Johann Strauss messo in scena nel 1999 da Gino Landi in un allestimento di forte presa vitalistica. Forse è più difficile realizzare la musica frivola e di consumo che quella cosiddetta seria. Cosa si vorrebbe dall'esecuzione? Un'eleganza strumentale che discenda per li rami della cultura 'alta' tedesca e un gusto di comicità mordente e ironica. E al Verdi, nella serata battesimale del Festival dell'Operetta 2001, non sono mancate né l'una né l'altra. Pur non possedendo l'incanto e il vigore inventivo del "Pipistrello" o la frivolezza leggiadra di "Una notte a Venezia", in questo lavoro del 1885 Strauss si mostra in orario con la storia: postulando un ritorno al Settecento, pensato come un montaggio scaltro e abilissimo, il celebre compositore viennese, a diciotto anni di distanza dall'Ausgleich (lo storico compromesso che aveva istituito la duplice monarchia austro-ungarica), travasa nello "Zingaro barone" il romanticismo avventuroso della tradizione magiara, i temi, i ritmi, i colori strumentali e geografici alleati in vienneserie e pesudo-esotismi del Banato, varando l'archetipo dell'operetta zigana cui avrebbero fatto riferimento più in là Lehár e Kálmán. Strauss lavora con sovrana eleganza sui materiali musicali riassunti nella splendida ouverture che riunisce i due quadri in rapide immagini sonore aderenti alla coeva storia sociale rappresentata dalle due teste dell'aquila imperiale: li decanta, li depura, li sottopone ad un bagno ossidante rendendoli più volatili e trasparenti. Ne esce un irresistibile teatro della nostalgia affidato a un'orchestra ricca, dalle coloriture smaglianti e fedele ad una singolare eredità viennese sotto la direzione di Alfred Eschwe, che ha condotto con esatta lucidità l'orchestra del Teatro "Verdi". I profili strumentali sono vitali e cangianti, la concertazione sorvegliatissima. Superlativa la resa del coro, diretto dalla veterana Ine Meisters, e altrettanto piacevoli i balli coreografati dall'abilissimo Landi, maestro indiscusso del genere. Scabre invece le scene, risolte mediante una serie di grossolane quinte trompe-l'oeil (più adatte a teatrini in miniatura), ideate da William Orlandi che ha curato anche i costumi, per fortuna tutt'altro che poveri. Del resto anche l'occhio vuole la sua parte, come si suol dire, e se non vi fossero stati dei bei costumi l'occhio avrebbe vagato ben poco sui quei cartoni scenografici! Su tutto ha fatto spicco l'armonioso insieme dei solisti, tutti accattivanti: da Francsca Franci nel ruolo della vecchia Czipra alla fresca voce di soprano leggero di Elena Rossi (Arsena), da Marcello Lippi (il Conte) all'appagante prestazione, anche sul piano attoriale, del simpaticissimo Ugo Maria Morosi (Zsupan, il mercante di maiali). In possesso di molti pregi musicali il mezzosoprano ungherese Ildiko Komlosi si è rivelato un'efficace Saffi, e altrettanto dicasi dello slovacco Miro Dvorsky nel ruolo del titolo. Meno convincenti, dal momento che l'allestimento è stato presentato nella versione ritmica in lingua italiata di Vincenzo De Vivo e Patrizia Gracis, le soluzione recitative dei due protagonisti, a volte indurite da inflessioni slave. Ma è meglio non essere troppo esigenti! Per il resto a riscattare i parlati e a dar loro vis comica ci ha pensato il grande Morosi che,da bravo "re ungherese dei porci",ha infarcito i suoi monologhi con gustose allusioni anche ai piaceri norcini tipici di Trieste ("porzina" compresa, ossia piatto di bolliti di carne e cervella con cren e senape). Spettacolo applauditissimo.
Interpreti: Dvorsky, Komlosi, Rossi, Franci, Di Pasquale, Basso, Lippi
Regia: Gino Landi
Scene: William Orlandi
Costumi: William Orlandi
Corpo di Ballo: Corpo di ballo del Teatro Lirico "G. Verdi" di Trieste
Coreografo: Gino Landi
Orchestra: Orchestra del Teatro Lirico "G. Verdi" di Trieste
Direttore: Alfred Eschwe
Coro: Coro del Teatro Lirico "G. Verdi" di Trieste
Maestro Coro: Ine Meisters
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.
classica
A Colonia l’Orlando di Händel tratta dall’Ariosto e l’Orlando di Virginia Woolf si fondono nel singolare allestimento firmato da Rafael Villalobos con Xavier Sabata protagonista