Tradizione e avanguardia nel debutto romano del Progetto Pollini
Inizia a Roma il ciclo dei sette concerti del "Progetto Pollini", per il debutto italiano del suo progetto Maurizio Pollini ha eseguito Schönberg, Webern, Stockhausen e Beethoven.
Recensione
classica
Con le note basse del primo dei "Drei Klavierstücke" op. 11 di Arnold Schönberg è iniziato al Nuovo Auditorium di Roma il ciclo dei sette concerti del "Progetto Pollini", organizzato dall'Accademia di S. Cecilia. Per il debutto italiano del suo progetto Maurizio Pollini si è esibito in un recital di pianoforte solo dove oltre Schönberg ha eseguito Webern, Stockhausen e Beethoven: insomma, un programmino di tutto riposo. Fin dall'interpretazione del op. 11 di Schönberg è facile accorgersi come Pollini voglia tracciare un percorso: a mo' di sipario, il primo "Klavierstück", è suonato se vogliamo in maniera tradizionale, ma già il secondo ha un'impronta ben diversa. A voler essere pignoli, basterebbe la durata, oltre 6 minuti, quando normalmente è eseguito entro i 4.30". La dilatazione dei tempi è funzionale alla scrittura schönberghiana, che cede così le sue ultime vestigia post-romantiche. L'insistito intervallo re-fa, che ha causato a Schönberg i rimbrotti di Busoni e l'ironia di Gould, secondo cui quella terza minore era una coperta di Linus per non perdersi nell'atonale, è diventato suono, pennellata di colore sonoro. Siamo nel '900 musicale, ma quale '900? Arrivano, ancora di Schönberg, i "Sechs Kleine Klavierstücke" op. 19. Esecuzione da manuale, tempi da registrazione discografica, dinamiche a dir poco sorprendenti per quanto sono precise, dai pianissimo acquatici fino all'estremo opposto, dove il fortissimo non perde mai il nitore, anche nei rischiosi registri acuti. Ma sopratutto i "sei piccoli pezzi" s'inarcano con continuità formando un tutto unico. Altra sorpresa con le "Varationen", unico pezzo per pianoforte a cui Webern abbia dato un numero nel catalogo delle sue opere, il 27. Già da tempo si discute quanto sia ancora valida l'esecuzione estremizzante che si dava della musica di Webern negli anni '60, soprattutto in considerazione dei gusti estetici del compositore in fatto di pittura e letteratura (vedi i testi poetici dei suoi lieder). La risposta a questo quesito da parte di Pollini è inequivocabile. Dei tre movimenti delle Variazioni il pianista mette in risalto la pregnanza formale e il continuo lavorio sugli intervalli della serie, senza cedere mai al lancinante: basti pensare al continuo staccato del "Seer Schnell" reso con elastica energia. La prima parte del concerto si conclude con i "Klavierstück" n. 5 e n. 9 di Stockhausen, sfuriata in cui Pollini si piega sovente verso il pianoforte per liberarne tutta la sua veemenza.
La seconda parte, dedicata a Beethoven, è ancor più sorprendente e non tanto per la sonata op. 78 - per carità non chiamatela "Für Therese" che Pollini s'arrabbia - pur eseguita benissimo, ma è la conclusiva "Appassionata" a spiazzare ancora una volta l'ascoltatore. Il primo movimento esplode nella sala: la potenza di suono che elargisce Pollini in alcuni tratti lascia stupefatti, il pianoforte risuona vigoroso a tal punto che è impossibile non ricordare lo Stockhausen appena ascoltato. Dall'altra parte l'uso del pedale asciutto a tornire le forme, la scultorea nitidezza del tema di quattro note che continuamente ritorna, evidenziano la specularità formale tra i nuclei melodici e grande forma, altro motivo ricorrente del '900. Il tutto è eseguito a ritmo veloce: il movimento dura poco meno di 10 minuti, una durata alla Backhaus, che però non faceva il secondo ritornello che Pollini invece esegue. Come la coda del diavolo, riappare la tensione accumulata nella prima parte del concerto che si stempera nel secondo movimento, l'andante con variazioni, per concludersi nell'allegro non troppo anche questo eseguito con tutti i ritornelli. Il pubblico esplode in un ovazione. Pollini lo premia ripetendo i "Kleine Klavierstücke" di Schönberg come bis. E' facile pensare che qualcuno abbia storto la bocca di fronte a un'Appassionata tanto appassionata, oppure per Webern. A posteriori però è doveroso ammettere che l'interpretazione che abbiamo ascoltato non è mai fine a ogni singolo pezzo, per Pollini ogni brano è eseguito alla luce dell'intero programma. È un modo di suonare che impone un ascolto non passivo e spinge alla riflessione: Schönberg, Webern, Stockhausen classici e Beethoven avanguardista?
Interpreti: Maurizio Pollini
Orchestra: Accademia Nazionale di Santa Cecilia
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