Tra Bartók e Ligeti, alla ricerca del classico novecentesco
A Bologna Festival il trio di Isabelle Faust su musiche di Bartók, Ligeti e Brahms
Recensione
classica
Si potrebbe dire: un ascolto che si muove sull’asse del tempo, mantenendo fermo lo spazio definito dai confini d’un’ideale – più che storica e politica – Ungheria musicale (forzando in questo senso la scelta del tedesco Brahms, legato nell’immaginario comune alle sue celeberrime "Danze ungheresi").
1865: il "Trio per violino, corno e pianoforte" di Brahms. 1982: quello di Ligeti. Tra loro, la "Sonata" di Bartók per violino solo, scritta nel 1944 negli Stati Uniti. Isabelle Faust sovverte quest’ordine (che così diviene: Bartók, Ligeti, Brahms), mescola le carte in tavola, quasi a dire: “È il cuore magiaro che conta”. O per sottolineare il dato incontrovertibile di questo viaggio nel tempo: la centralità dialettica di Bartók, simboleggiata da una sonata che ha il sapore del limite, del limite raggiunto (e varcato) dal “classico”.
Isabelle Faust padroneggia la "Sonata" regalando un’esperienza di rara bellezza, e questo al di là dello sfoggio virtuosistico necessario per superare i proverbiali scogli tecnici di questa pagina bartokiana. I suoi “pianissimo” commuovono, il cantabile emerge dove sembra impossibile, così come è architettonicamente solida la capacità di dare continuità e fluidità a una forma decostruita, si diceva, oltre il limite della classicità. Limite dentro il quale, è ovvio, si muove Brahms, e oltre il quale Ligeti ha trovato ispirazioni migliori. Ma quel "Lamento" finale, in cui la democraticità delle parti fa del trio un’unica voce! Ecco di nuovo il Ligeti ultimo classico del secolo che se n’è andato senza eredi.
Interpreti: Isabelle Faust, violino Teunis van der Zwart, corno Alexander Melnikov, pianoforte
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