Tosca chiude la stagione lirica del Pergolesi di Jesi
Nir Kabaretti sul podio della FORM- Orchestra Filarmonica Marchigiana
Il teatro “G.B. Pergolesi” di Jesi conclude la stagione lirica di tradizione con Tosca, nuova produzione della Fondazione Pergolesi Spontini con allestimento dell’Opéra-Théâtre de Metz Metropole. La regia, affidata a Paul Emile Fourny, autore anche delle scene insieme a Patrik Méeus, ha rispettato l’ambientazione temporale del libretto senza tentativi di “attualizzazione”; e in effetti solo i bei costumi disegnati da Giovanna Fiorentini consentivano di collocare la vicenda nei primi dell’800, perché le scene erano molto semplici e lineari, giocate su proiezioni video e secondi piani in trasparenza che evocavano appena gli ambienti. Alcune trovate registiche hanno avuto un bell’effetto, amplificando i contenuti del libretto e della musica: le parole blasfeme di Scarpia durante il Te Deum disintegrano la chiesa, rivelando la natura diabolica di questo personaggio di straordinaria malvagità, unico nel teatro musicale; e il rullo di tamburi ha l’effetto di far cadere il crocifisso appena posato sul suo cadavere, creando una inedita interferenza tra musica e ciò che accade sul palcoscenico. Del resto l’accento sull’aspetto noir del libretto che ci offre Fourny fa sì che Tosca affondi il pugnale più volte, con rabbioso accanimento, nel corpo di Scarpia. Ben risolto il finale, dove è la scena ad essere in movimento e a scaraventare la protagonista verso la morte. Altri aspetti sono apparsi invece meno riusciti, in particolare gli alter ego dei personaggi sempre in scena accanto ad ognuno di loro, immobili e sfatti come cadaveri; all’inizio del terzo atto poi il canto del pastore era immerso in una atmosfera cimiteriale, con queste presenze che gli aleggiavano intorno. Fourny spiega la scelta dello sdoppiamento del personaggio, peraltro non originalissima, come una anticipazione di ciò che avverrà, perché quattro saranno i morti e quattro sono le presenze inquietanti che accompagnano i personaggi verso la loro fine inesorabile. Qualcosa in più che si è voluto aggiungere, un ‘memento mori’ che ha solo ribadito il già noto, senza aggiungere niente alla lettura dell’opera, verrebbe da dire solo per riempire il palcoscenico; anche perché è solo nel rituale dei candelabri che la figurante della protagonista ha un ruolo attivo.
Tra gli interpreti vocali ha spiccato Francesca Tiburzi nel ruolo del titolo, molto intensa nell’interpretazione del personaggio e notevole per bellezza del timbro e portanza; e dire che alla generale non si era presentata per indisposizione. E’ emerso nel cast anche Devid Cecconi, che ha dato a Scarpia il necessario carattere diabolico e malvagio e lo ha ben reso anche sul piano vocale. Più debole il Cavaradossi di Raffaele Abete, voce chiara che ha dato l’impressione di non essere adatta al personaggio. I comprimari hanno ben sorretto la loro parte: Alessandro Della Morte in Angelotti, Giacomo Medici nel sagrestano e in Sciarrone, Orlando Polidoro in Spoletta e Petra Leonori, voce bianca che apre il terzo atto. Bene il Coro Lirico Marchigiano “V.Bellini” diretto da Riccardo Serenelli e i Pueri Cantores “Zamberletti” diretti da Gian Luca Paolucci. Nir Kabaretti ha diretto la FORM- Orchestra Filarmonica Marchigiana, di cui si sono apprezzate in particolare le emersioni solistiche dei legni, e che ha in generale offerto una buona esecuzione, se si eccettuano alcuni momenti in cui i volumi specie delle sezioni degli ottoni e percussioni erano eccessivi.
Tutto esaurito per le due recite dell’opera, di cui la seconda era accessibile anche a un pubblico di non vedenti/ipovedenti e non udenti/ipoudenti, grazie al sostegno della Regione Marche, alla collaborazione con ALI – Accessibilità Lingue Inclusione e all’Università di Macerata.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.